Ginevra di Artù

( IL SOGNO DI LANCILLOTTO)

 

        Tra la fine dell’ XI sec. e l’inizio del XII sec. cominciarono a comparire, in volgare e non più in latino, poemi  che narravano le nobili imprese degli eroi del passato e  le storie dei loro amori, raggruppati in due grossi filoni:  

·        le “chansons de geste”, dal latino “ gesta “che significa azione di guerra;

·        le “storie dei grandi amori”.

        La prima comprendeva il ciclo carolingio, legato alla figura di Carlo Magno ed i paladini, come  la “ Chanson  de  Roland ”, che offrono un’ immagine  del  mondo cristiano cavalleresco e feudale, ed  il  ciclo bretone, che  raccoglieva  le leggende di re Artù  ed i Cavalieri della Tavola Rotonda. Fu quest’ ultimo, verso la metà del sec.  XII, ad alimentare  un  altro genere  letterario, il romanzo cortese, come  la leggenda

di Tristano e Isotta, la tragica  storia di  due amanti legati da un filtro magico.  A partire dal XII sec. godono di grande fortuna e diffusione  le leggende incentrate sulle  imprese di re Artù  e dei cavalieri della Tavola Rotonda, in  cui  si celebrano valori molto diversi da quelli della “Chanson de Roland“ : l’onore, la celebrazione della donna, la ricerca del Sacro Graal, la difesa  del  debole e così via. Ma chi era Artù? La leggenda ha un qualche riscontro storico? Secondo un monaco gallese  del  IX° secolo d. C., Nennio, sembra che il nome originale del vero Artù fosse Artù Mac Aedan  di Dalriada , che condusse  molte  battaglie  nelle  foreste della Caledonia, a 16 anni divenne comandante supremo e successivamente, re dei Britanni. Fu detto pure Artù del dragone.

          All'Artù storico sono stati attribuiti  una data di nascita e di morte (475-542 d.C.), ma  c'è chi  lo identifica  con  personaggi più antichi: secondo Geoffrey Ashe poteva essere il re britannico Riothamus del V secolo. Per Le Poer Trench,invece, si trattava del  ribelle Arviragus, che combattè contro i Romani nel I sec.. Tra i molti eroici  guerrieri che  si  alternarono alla Tavola  Rotonda ( il loro numero pare fosse di  ventiquattro o di dodici) solo di  Drustan (Tristano) si  è certi  della sua esistenza:

era figlio di Re Cynfawr, ed i resti del suo castello si possono  ancora ammirare sulla collina di Castle Dore, in Cornovaglia.   

Artù e i suoi cavalieri furono accolti degnamente nel reame di re Leodagan. La gente,ai bordi delle strade, lanciava grida di evviva.  Le campane suonavano a festa e, nel  palazzo reale,  si preparava un grande banchetto. Ma  la  gioia  più grande, per il giovane sovrano  fu l’accoglienza  di Ginevra, l' unica figlia del re. Era costei una fanciulla di straordinaria bellezza, alta e ben fatta, con i lineamenti purissimi ed una carnagione chiarissima. Adeguate erano le sue virtù morali:  modesta e gentile, con una notevole   intelligenza e vivacità.  Ginevra gli andò incontro e, pregatolo di sedere, fece venire dell'acqua calda in un bacile d'argento, quindi gli lavò il viso, lo asciugò lievemente con una candida salvietta e gli pose sulle spalle un nuovo mantello.           

 Durante il banchetto fu lei a servirgli il vino nella coppa, rimanendo poi in ginocchio al suo fianco; in attesa che egli l'avesse vuotata. Artù ne era talmente affascinato che trascurava il cibo e non sapeva staccare gli occhi da lei.    Qualche giorno dopo, mentre ancora i protagonisti della terribile battaglia si stavano riposando dalle fatiche sostenute, Leodagan, vedendo Artù, Ban, Bohor e Merlino che conversavano tra loro, si avvicinò e disse: "Amici, voi non sapete quanto vi sia affezionato; io vi devo tutto: il trono, la mia vita e quella della mia famiglia. Una sola cosa mi rattrista: non conoscere il nome di coloro ai quali io sono debitore di così grandi doni". Merlino, pur colpito dalla sincera tristezza di quelle parole, non volle ancora rivelargli la verità, pertanto si limitò a rispondere: "È la sete di avventura che ci spinge a girare il mondo, ma è anche il desiderio trovare una donna che sia degna di diventare moglie del nostro giovane amico". "Perché dunque cercate ancora? Nessuna fanciulla è più degna di mia figlia ed io sono ben felice di concedergliela in sposa, pur senza sapere chi egli sia. Alla mia morte avrà le mie ricchezze e il mio regno, poiché io non ho altri figli". "Così sia" approvò Merlino.
          Artù non aveva ancora parlato, ma l'espressione del suo volto diceva più di mille discorsi. Venne allora chiamato il vescovo della città, alla presenza del quale fu celebrato il fidanzamento: Leodagan pose la mano di Ginevra in quella del giovane, che la strinse, con dolcezza. Merlino si rivolse quindi al padre della fanciulla con tono solenne: "Signore, sappiate che l'uomo al quale avete promesso la vostra unica figlia è ben degno del vostro alto lignaggio: egli è Artù, figlio di Uter Pendragon, legittimo re della Grande Bretagna". La gioia di Leodagan fu immensa, così come quella di Ginevra. Qualche giorno più tardi, mentre si discuteva della data più opportuna per la celebrazione delle nozze, Merlino ricordò ai presenti che esse non potevano avere luogo fino a che la Bretagna non fosse stata liberata dal grande pericolo che incombeva su di essa. Il mago, che come al solito sapeva ciò che agli altri era sconosciuto, rivelò a tutti che in quel preciso istante il regno di Bretagna era devastato dagli invasori Sassoni, che, giunti dal mare numerosi come le foglie d'autunno, incontravano ben poca resistenza, dal momento che i migliori cavalieri erano al seguito di Artù. Questi si sarebbe dovuto recare subito in soccorso della sua terra per porre fine alle sofferenze di un popolo che stava perdendo ormai ogni speranza di salvezza. Grande fu il disappunto di Ginevra, che tuttavia non lasciò trapelare i suoi sentimenti. Tutti riconobbero l'avvedutezza del consiglio di Merlino, sicché venne deciso che la partenza avesse luogo il giorno successivo. 
         La guerra contro i Sassoni fu assai dura, ma si concluse felicemente in pochi giorni: i nemici lasciarono sul campo centinaia di morti e i superstiti furono costretti a riparare precipitosamente sulle loro navi per salvare la vita.Sei giorni dopo lo scontro, il re partì verso la Carmelide, seguito da Merlino, da San, da Sohor e da molti valenti cavalieri. Fuori dalle mura di Carohaise gli venne incontro con un gran seguito Leodagan, che entrò nella città cavalcando a fianco del futuro genero. Il matrimonio fu fissato per la settimana successiva. Il giorno stabilito, tutti i gentiluomini del regno  si riunirono a corte, la grande sala del trono era stata addobbata in modo splendido: i pavimenti erano ricoperti di erbetta fresca e verdissima, e dovunque erano disseminati fiori dal profumo inebriante. La cerimonia fu solenne, come si addiceva al lignaggio degli sposi; l'arcivescovo stesso cantò la messa, mentre spettò al cappellano di corte benedire il matrimonio. Al termine della funzione religiosa, tutti i nobili si trasferirono nel palazzo reale per prendere parte al banchetto, che fu degno senza eguali. Molti anni trascorsero e la fama della Tavola Rotonda conquistò il mondo.
        Da ogni parte del regno e anche da terre lontane i visitatori giungevano a frotte per vedere la corte di Camelot, di cui cantavano ormai i trovatori nei castelli e i giullari nelle piazze. Nessuno si sorprendeva dunque, a corte, nel vedere gente sconosciuta camminare per le vie della città o entrare con rispetto nel castello, tuttavia molti furono colti da stupore di fronte all'insolito corteo che una sera, la settimana precedente la festa di san Giovanni, varcò le porte della capitale. Vi giunse pure una nobile dama “La Signora del Lago” che chiese al re il favore di nominare cavaliere un giovine che era al suo seguito. Artù acconsentì. Il giorno dopo, il giovane valletto si recò al castello per parlare con il re. Venne subito ricevuto da Artù, a fianco del quale sedeva Ginevra, che fu particolarmente colpita dalla bellezza dell'adolescente, riccamente vestito e capace di muoversi con una naturale grazia. Desiderosa di conoscere qualcosa di lui, la regina gli chiese quale fosse il suo nome, ma egli disse che non sapeva; allora essa gli domandò da dove provenisse, ma si sentì rispondere che nemmeno questo egli sapeva. Alla fine, il giovine venne fatto cavaliere, divenendo Sir Lancillotto del Lago ed ottenne dal sovrano il primo incarico, che fu quello di difendere con la spada i diritti della dama di Noant. Purtroppo, tra Ginevra e Lancillotto nacque un grande amore, che  rimase segreto per lungo tempo.

           Lancillotto trascorse molti anni alla corte di re Artù, al servizio del quale compì gesta che nessuno prima di lui aveva ancora tentato. Grande fu la gloria che seppe conquistare e grandi gli onori che ricevette, ma ogni sua impresa, nel segreto dell'animo, egli continuò a dedicarla a Ginevra, la donna a cui era legato da un sentimento così forte che mai alcun uomo ne aveva provato uno uguale. La regina, che lo ricambiava di altrettanto amore, era assai orgogliosa di essere l'ispiratrice di tante prodigiose avventure. Il  loro legame, tuttavia, non poteva restare segreto per sempre e furono Galvano e i suoi fratelli, Mordret, Agravain, Guerrehes e Gaheriet, ad accorgersene per primi. Avendolo saputo, Artù tese un tranello ai due amanti e la cosa riuscì. Sorpreso nella camera della regina, Lancillotto scappò con l’aiuto delle armi e Ginevra fu condannata al rogo. Tuttavia, nel mentre si stava procedendo con l’esecuzione, Lacillotto, con amici e parenti, uccise le guardie e liberò Ginevra, rifugiandosi nel castello chiamato della Dolorosa Guardia.Allora il re radunò gli uomini e si lanciò all’assedio del castello.  

          Allora, Lancillotto si apprestò a combattere. Gli scontri furono durissimi e  da una parte e dall'altra dimostrarono gran valore.Lo stesso Artù, nonostante la non più giovane età, prendeva parte a tutte le battaglie, comportandosi con onore.  Artù non  pose fine alle ostilità, se non quando gli giunse dal Papa l'ordine di interrompere una guerra,  vergognosa per tutti i cristiani. Allora tolse l'assedio, a patto però che Ginevra si proclamasse innocente e tornasse da lui. Egli  avrebbe rinunciato a punirla e l'avrebbe nuovamente onorata come sua legittima regina. Lancillotto e Ginevra, pur non avendo alcun desiderio di separarsi, accettarono l’accordo e, purtroppo, non si rividero mai più. Intanto, Mordret, figlio illegittimo di Artù, colse l’occasione per sottrarre il potere regale al padre e strinse alleanza con tutti i nemici  della Grande Bretagna: Sassoni, Scozzesi e Irlandesi. Artù, avvertito del pericolo, riorganizzò    l’esercito, indebolito dalla dura guerra contro Lancillotto, lasciò la Gallia e sbarcò sulle coste della Bretagna. Lo scontro, nella pianura di Salisburgo, fu terribile e segnò la fine di Mordred, di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. 

 

APPROFONDIMENTI

 

           La ricerca delle prove storiche dell'esistenza di Artù continua, ininterrotta, fino al 1190, quando i monaci di Glastonbury  identificarono la sede della loro Abbazia  con la mitica Avalon, ove il  sovrano era stato trasportato dopo essere stato mortalmente ferito a Camlann.  La ricercatrice Norma Lorre Goodrich sostiene che Avalon è il castello di  Peel,  nell'Isola di Man; Camelot sarebbe, poi, il castello di Greenan, a nord di Glasgow, di proprietà dei Kennedy. Di qui, le allucinate  tesi diffuse dalla stampa, che il defunto presidente era discendente del leggendario Re.

 

MEA CARMINA 

 

 

PROLOGO

Leale

era Ginevra

ed era bella:

un fiore

tra tanti cavalieri,

che tutti,

della dama,

erano fieri.

 

Tra essi

vi era Artù,

il suo signore,

poi,

c’erano Sir Galahad

e Sir Tristano,

Sir Gawain e Bedivere,

infine, per valor,

tra i primi otto,

il cavalier del lago

Sir Lancillotto.

 

Per molte fiate,

l’amor

soffiò il suo fuoco,

forte Ginevra

rifiutò il suo giuoco:

aveva nel Sir

il suo campione,

ma per il re

serbava ogni passione

Ginevra

dalle bianche braccia,

aveva ogni potere

sul Dragone.

 

La gioia

ogni guerra scaccia

e col suo amore

sedava ogni tenzone.

Il regno prosperava

e in tutta la Bretagna

era mattino,

con i colori cari

al buon Merlino.

 

EPILOGO

 

Mordred

il traditore

non lo accettava

e nell’ombra

il dolor  tramava:

nel regno suscitò

sommossa

e la Bretagna tutta

ne fu scossa.

 

Accorse rapido,

sopra il suo destriero,

il più forte,

il baldo cavaliero.

Suonarono le trombe

a Camelot,

per il signor del lago:

sir Lancillotto.

 

Fu allora

che Ginevra, la regina,

perse il suo cuore

trafitto dall’amore:

si strinse a Lancillotto,

con gran fe’,

ma dentr’al petto

pianse per il re.

 

Banditi

furono

dal regno di Bretagna,

divisi anch’essi,

senza sospir d’amore,

in tale modo

il re salvò l’onore.

 

Il sire,

senza più forza,

fu sconfitto

ed il regno di Camelot

venne distrutto.

O tempi tristi,

o miseri destini:

si dice che l’amor

rechi la vita,

ma spesso alla morte

par sorrida.

 

  

 

[ Da “Un unico grande sogno” di F.Pastore]

 

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 NOTAFigura di Ginevra: adattamento di  Paolo Liguori

 

   Franco Pastore
 

 

 

 

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