Poche donne hanno avuto la possibilità di distinguersi nelle scienze, considerate, fino a non molto tempo fa, di esclusica pertinenza del mondo maschile. È, quindi, un fatto eccezionale che IPAZIA , vissuta ad Alessandria d‘ Egitto, tra il IV e V secolo d.C., si sia avvicinata agli studi scientifici, come Teone, suo padre, ci tramanda, nell‘ intestazione del III libro del suo commento al Sistema matematico di Tolomeo:“ Commento di Teone di Alessandria al terzo libro del Sistema matematico di Tolomeo. Edizione controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia".
Ipazia, studiosa di matematica, fece molti proseliti in questa scienza, sia con l’insegnamento,che con opere autografe, purtroppo non giunte fino a noi. Pare che una delle discipline, in cui seppe più distinguersi, fosse l‘ astronomia. Infatti, si documentò e fece scoperte sul moto degli astri e le trasmise ai suoi contemporanei con un testo, dal titolo Canone astronomico. Ma Ipazia fu anche filosofa: Socrate Scolatico parla di lei, come della terza caposcuola del Platonismo, subito dopo Platone e Plotino.
Ma chi era veramente questa donna? in un epigramma, a lei dedicato leggiamo: "Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole, vedendo la casa astrale della Vergine, infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura".
Ella diviene, così, guida spirituale, nonché maestra di filosofia neoplatonica, una disciplina dove convergevano sia studi di matematica, che di geometria.
Uno dei suoi discepoli più affezionati, Sinesio, essendosi ammalato, così le scrisse: “ Detto questa lettera dal letto nel quale giaccio. Possa tu riceverla stando in buona salute, o madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant‘ altrimai onorato!". Ipazia aveva scelto l’amore per le scienze ed aveva volutamente rinunciare all’amore carnale, tanto che ad un suo allievo, che si era follemente innamorato di lei, la donna gli presentò una delle pezzuole usate per il ciclo e gli disse: "Questo, dunque, ami o giovane? Niente di bello! ".
All’ apice del suo successo culturale, perseguitata dagli ignoranti invidiosi, capeggiati da quel suo alunno Cirillo, che nel contempo era diventato Vescovo di Alessandria, avversata dai cristiani e da coloro che non trovavano riscontro, nella loro limitatezza, nelle grandi verità cui era giunta Ipazia, organizzarono vilmente il suo assassinio.
Nella primavera del 415, una banda di monaci cristiani catturò Ipazia per strada, la colpì e trascinò il suo corpo fino in una chiesa dove il suo corpo fu fatto a pezzi con tegole acute e i suoi resti bruciati. Era allora Imperatore il minorenne Teodosio II e reggente era sua sorella Pulcheria. Cirillo (375-444) venne fatto santo e nel 1882 fu dichiarato dottore della chiesa cattolica.
Dopo l'assassinio di Ipazia, i suoi allievi abbandonarono la città ed Alessandria, un grande centro culturale fin dal tempo dei Tolomei, ove avevano studiato e insegnato Eratostene, Archimede, Euclide, Tolomeo, e Plotino, perse definitivamente il suo ruolo di centro culturale.
RIFERIMENTI CULTURALI
Oltre a Damascio, Filostorgio, Socrate e Suda, si sono interessati alla vita, all’opera ed alla personalità di Ipazia: Silvia Roncheey, Peter Brown ed Eveline Patlagen. Anche Voltaire parla di Ipazia nelle “ Question sur l’ Encyclopédie “ (1772), sottolineandone soprattutto l‘ingiusta condanna. In altri suoi scritti, poi, definirà la sua morte "excès du fanatism".
Da Voltaire, l'eco di Ipazia rimbalzerà fino a Vincenzo Monti ed a Diodata Saluzzo Roero, membro dell‘ Accademia Torinese delle Scienze e dell‘ Arcadia, che, nel suo “ Ipazia, ossia delle filosofe “ ( 1827 ) presentò la filosofa, come martire cristiana e non pagana: “Languida rosa sul reciso stelo…”
Ipazia fu presa
e fatta a pezzi,
con cocci di tegole taglienti;
la carne sua bruciata
con le opre,
da cristiani empi
e malviventi.
E corse il sangue
con le urla atroci,
quanti Cristo
moriron sulle Croci.
Ed il terrore,
unico monarca,
fu sparso per l’onor
del Patriarca.
Si spense l’eco, allor,
della sua voce,
l’unica vestale d’ogni vero
e s’affrettò la fine
dell’impero. (1)
Ma quando torna
il cielo dell’estate
e guardi su, in alto,
il firmamento
tu vedi ancor brillar
nella sua luce
Ipazia, virgo,
tra Castore e Pollùce. (2)
[ Da “Siderea Historiae” di F.Pastore]
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(1) Nel 410, appena 18 anni dopo la proibizione della religione romana, Alarico e i visigoti mettevano a sacco Roma. Pochi decenni ancora e l'Impero sarebbe giunto alla fine.
(2) Figli di Zeus (dioscuri), erano mitici eroi greci: Castore, figlio di Zeus e Leda, era domatore di cavalli, Polluce, invece, figlio di Tindaro e Leda, era pugile. Essi parteciparono a molte imprese, di cui la celebre spedizione degli Argonauti, guidati da Giasone, alla conquista del Vello d'oro. Alla loro morte, furono assunti in cielo,dando vita alla costellazione dei Gemelli.
NOTA: Disegno di apertura “IPAZIA” del bozzettista
Paolo Liguori.
Franco
Pastore