Marianna de leyva

(LA SIGNORA DI MONZA)

 

       

 

La  Gertrude  manzoniana,  simbolo  della maltrattata  aristocrazia  femminile  del secolo del rinascimento, è la figura più sconcertante,  moderna ed  intrigante dei  Promessi Sposi‚ tanto che il Manzoni‚ nella prima stesura del romanzo, le aveva dedicato ben sei capitoli.                                                                           

Marianna, nata  nel 1575, da  don Martino De Leyva‚  principe di Ascoli e conte di Monza‚ e da donna Virginia Marino‚ all’età  di tredici anni‚ era già novizia nel convento delle benedettine di  S. Margherita a Monza. Nel 1597‚ iniziò una relazione con Giovanni Paolo Osio ed aveva 22 anni.  Nel 1607‚ venne arrestata‚  processata e condannata ad essere murata viva nella  Pia casa delle Convertite di Milano fino al 1622, anno in cui venne liberata‚ per volontà di Federigo Borromeo. Nel 1650‚ all’ età di settantacinque anni‚ Marianna  De Leyva‚ conosciuta come suor Virginia Maria‚ chiudeva la sua esistenza terrena. In quello stesso anno, il territorio di  Monza cessava di essere un possedimento  dei duchi di Leyva‚per estinzione della  famiglia  e  veniva  acquistato dai  Durini , che  lo conserveranno fino al 1700.

Chi scrive ha sempre provato sentimenti di commozione profonda per questo personaggio‚ che ha vissuto un vero e proprio dramma della  solitudine.Tradita negli affetti più cari e vittima di una società ingiusta‚ ipocrita e stoltamente
bigotta‚ Marianna fu veicolata versa l’autodistruzione e la follia.

 “…Essa era l’ultima figlia del principe…‚ gran gentiluomo milanese‚ che poteva contarsi tra i più doviziosi della città. Ma l’alto opinione che aveva del suo titolo‚ gli faceva parere le sue sostanze appena sufficienti‚ anzi scarse. a sostener decoro…” (1)

         I principi d’Ascoli‚ Marianna de la Cueva e Luigi de Leyva‚ dell’illustre  famiglia spagnola di Antonio de Leyva, venuto in Italia al seguito di Carlo V e, successivamente‚  primo  governatore  di  Milano‚  alla morte di  Francesco II Sforza‚ nel 1548‚ generarono il secondogenito Martino‚ il quale dedicò  la sua vita alla carriera militare.  Nel 1574‚ a 26 anni, sposò Virginia, figlia del  banchiere Tommaso Marino, l’uomo più ricco di Milano‚ per  la promessa di una dote di 50.000 scudi. Nel 1575‚ nacque la loro unica figlia‚ alla quale diedero  nome Marianna, dalla madrina Marianna, sorella di Martino, e  moglie  del  marchese di Soncino.   

        Alla morte del banchiere‚ il palazzo fu diviso in quartieri e la coppia andò a vivere in quello all’angolo tra piazza san Fedele e via Caserotte‚ formato da una saletta‚ tre camere ed un porteghetto‚ due vasi necessari, un poco di giardino‚ con un pozzo e due torrioni. Il 1 ottobre 1576, La piccola Marianna perde la mamma di peste‚ che in quell’anno infuriava a Milano. La donna, nel testamento‚  assegnava alla figlia  ed al primogenito del suo primo matrimonio Marco Pio, il 50% ciascuno dei suoi averi. Al marito sarebbe spettato “l’usufrutto  della dote ed un anello con gemma di un certo valore”. Il testamento viene subito impugnato dalle sorelle di Marco Pio‚ escluse dall’eredità‚ che chiedono immediatamente un inventario dei beni. Alla fine, derubata dal padre e dai fratellastri‚ Marianna  andò a vivere con la zia paterna Marianna Stampa‚ assistita dalla balia Vittoria‚ alla quale Virginia aveva lasciato un legato di 25 scudi d’oro‚ perché si occupasse della bambina.

          Eppure‚ la famiglia de Leyva non era certo in ristrettezze‚ considerando le entrate milanesi‚ derivanti dalla dogana e dalla mercanzia‚ le rendite delle tenute e quelle della contea di Monza, per le quali i fratelli  De Leyva turnavano tra loro ogni due anni.  “…Quando venne alla luce‚ il principe suo padre‚ volendole dare un nome che risvegliasse immediatamente l’idea del chiostro…‚la chiamò Gertrude.Bambole vestite da monaca furono i primi balocchi…devi essere‚in ogni cosa‚la prima del monastero…” (2) Manzoni  racconta  che Marianna era destinata al chiostro fin dalla nascita, e ciò sembra sia vero‚ anche se in una lettera del padre‚ del 1586‚ si parla di prospettive matrimoniali  e di una dote di 7.000 ducati mai pagati.        

          In effetti‚ Marianna era un ostacolo da eliminare‚ soprattutto in prospettiva del nuovo matrimonio del principe con donna Anna Viquez De Moncada‚ avvenuto a Valenza, in Spagna‚ nel 1588. Da questo matrimonio‚ nasceranno i figli: Luigi, Antonio e Gerolamo, che lo seguiranno nella carriera militare.  Nello stesso anno, Marianna, che fino a quel momento era vissuta sotto la tutela delle zie, entra‚ alla età di tredici anni‚ nel monastero di Santa Margherita a Monza.

         Il 26 agosto 1591, trascorso il giusto periodo di noviziato, l’arcivescovo autorizza la novizia a ricevere la professione. Il 12 settembre 1591‚ Marianna diventa Suor Virginia Maria. Ella, secondo il Ripamonti, era modesta, circospetta, affabilissima, soffusa di un invidiabile candore, amica con tutte, istruita nelle discipline letterarie, come lo poteva essere solo una giovinetta ben educata, obbediente, per nulla dispettosa, esempio di contegno sociale perfetto.

      Nel 1595‚ a vent’anni‚ suor Virginia‚ per mandato del padre‚ esercitò il biennio di sovranità a Monza, che consisteva nell’ emettere gride, ordinare arresti, rimettere le pene, ed altro. Di qui l’appellativo della “signora”. Riservata‚ esemplare‚ garbata ed equilibrata‚ in questo periodo riscosse il rispetto e l’ammirazione di tutti.

“…Poco dopo la professione‚ Gertrude era stata fatta maestra delle educande; ora pensate come dovevano essere quelle giovinette‚ sotto una tal disciplina…; ma lei conservava vive tutte le passioni di quel tempo; ed in un modo o in un altro‚ le allieve dovevano portare il peso…” (3)

        Secondo quanto scrive il Ripamonti‚ nel 1597‚ Marianna  maestra  di  circa 20 educande‚ fu  costretta ad allontanare una  certa Isabella  degli  Hostesi‚ che aveva intrecciato una relazione con un tal Paolo Osio, un giovane 25enne‚ ricco ed ozioso‚ la cui casa confinava con il monastero. A tal proposito‚ suor Virginia dirà: 
- Detto Gio. Paolo Osio faceva l’amore con la  signorina Isabella Ortensia  secolare la quale era nel monastero in dezena et havendo io trovato che stavano guardandosi l’uno e l’altro alla cortina  delle  galline  gli  feci  un gran rebuffo che portasse così poco rispetto al monastero massime che detta giovane era data  in  mia custodia [...], et esso se n’andò via bassando la testa senza dire altro”. 

         Nell’ottobre 1597, l’Osio uccideva‚ in circostanze poco chiare e sicuramente per vendetta‚ il sessantenne Molteno‚ l’ex soprastante dei de Leyva. Suor Virginia‚ che in questo periodo era la Signora di Monza ed amministrava la giustizia‚ per ulteriori avances del giovane Osio verso la sua persona ed  in  collera con lui  per l’omicidio del  sovrastante

, ne  ordina l’arresto. L’Osio‚ allora‚ fugge  da Monza e resta latitante per un anno. Poi, per intercessione di molti e su pressioni della superiora, ottiene la grazia.

                 Nel 1598, l’Osio fece ritorno nella sua casa  di Monza e la giovane monaca scopre improvvisamente di sentire per lui una certa attrazione‚ tanto  che‚ non  vista‚ lo spia ogni volta che scende in giardino.  Sola e senza affetti‚ crebbe in lei una passione tale, che desiderò quel giovane  con tutta se stessa‚ un  desiderio che  le fece dire‚ non appena lo scorse:  - Si potria mai vedere la più bella cosa? -

“… Qualche consolazione le pareva talvolta  di  trovare… nell’ esser  corteggiata,  nel ricevere visite di complimento‚…nello spendere la sua protezione…”(4)

         L’Osio, che era di buona cultura e conosceva il latino‚ accortosi  dell’ interesse di Virginia le scrive una lettera troppo audace‚ suscitando il  suo  sdegno. Gli  viene in aiuto il prete Arrisone‚ che scrive di suo pugno le altre lettere. Convinta della  devozione  del  giovane incomincia  a  ricambiare  con lettere  e regali. A questo punto‚ il prete‚ geloso  del sentimento  che aveva fatto  nascere  con le  sue  missive‚  confessa  alla  monaca di  esserne  lui  l’autore e le professa  il  suo amore, ma viene giustamente scacciato.

            Nell’ agosto  del 1599‚ la  morte  del  padre  ed  una  carenza  cronica di affetto spingono Marianna ad aprire la porticina del monastero e a rifugiarsi nelle braccia del Giovine Paolo Osio. Ma‚ l’amore era un frutto troppo bello ed accattivante per accontentarsi del solo profumo e fu così che le spoglie mura della  cella di  suor Virginia udirono i gemiti di lei‚ nel pieno appagamento  dei sensi.

Iniziarono‚ frequenti ed intensi‚ gli incontri dei due amanti‚ con la solidarietà complice delle suore amiche della Signora‚ incontri che non sfuggirono alla gente del circondato‚ che subito ne informarono la superiora. Allora‚ si pensò bene di dire che l’Osio frequentava suor Virginia‚ perché stava spiritualmente preparandosi a divenir cappuccino.

         Nel 1602‚ la signora di Monza rimase incinta ed al nono mese‚ nacque un bimbo senza vita‚ che fu subito consegnato al padre‚ perché lo facesse sparire.

      La crisi mistica di suor Virginia esplose in tutto il suo dramma: le diminuì l’appetito‚ fece voti e doni alla Madonna di Loreto‚ buttò nel pozzo del convento tutte le chiavi che il suo Paolo faceva riprodurre dal fabbro.

La sventurata pensò‚ allora‚ al suicidio‚ ma‚ all’ultimo momento‚ fu proprio l’immagine della Madonna‚ nel giardino del monastero‚ a fermare i suoi propositi. Tuttavia‚ ad ogni tentativo‚ l’amore sembrava ingigantirsi: voleva ancora vivere‚ pascersi di quei frutti che circostanze e condizioni rendevano a lei proibiti. L’irrazionalità di quel sentimento la convinse dell’esistenza di una magia‚ che‚ a suo parere‚ doveva combattere non con le armi della saggezza e della fede‚ ma con altra magia; fu allora che chiese consiglio. Le consigliarono‚ così‚ un rimedio considerato efficacissimo contro il mal d’amore: la coprofagia. Doveva procurasi gli escrementi dell’amante, farli seccare e berli‚ in un brodino di fegato e cipolle‚ per tre volte alla mattina. Così fece‚ ma il rimedio non fu efficace e gli incontri ripresero.

Nell’autunno del 1603‚ suor Virginia scoprì di essere  nuovamente incinta. Si Alzarono le mura dal lato dell’Osio‚ si inventò che la signora era ammalata di idropisia‚ che le gonfiava lentamente la pancia‚ la si sistemò in un’altra ala del monastero e si pregò tanto Iddio che le cose andassero per il meglio.

         L’8 agosto 1604 nacque Alma Francesca Margherita‚ che sarà allattata da Susanna‚ la figlia  della serva del monastero e vivrà con il padre‚ che la legittimerà nell’aprile di due anni dopo‚ dichiarando di averla avuta da una certa Isabella da Meda.  Suor Virginia visse‚ con pienezza‚ la gioia di esser madre‚ era stato sempre il suo più grande sogno‚ e tante volte si recò da Paolo‚ con le sue amiche‚ per carezzare il viso della sua bambina ed altrettante l’accolse nel convento per vestirla degli abiti che aveva cucito per lei.

         Fu in questo clima che si preannunciò la visita pastorale del cardinale Federico Borromeo‚ che giunse al monastero il 6 giugno 1605‚ ma non ebbe sentore alcuno di quello che era successo in quel luogo religioso. Assegnò  a suor Virginia i digiuni e flagellazioni‚ che si dimostrano forse più efficaci della ripugnante pozione.

         Nell’estate del 1606‚ la situazione precipitò: La conversa Caterina da Meda, inadatta alla vita monacale‚ incline al furto e di carattere piuttosto forte‚ in occasione della visita al convento del canonico di S. Ambrogio‚ Monsignor Pietro Barca,  minacciò di rivelare la relazione tra Gio’ (come Marianna e gli amici chiamavano l’Osio) e suor Virginia. Quest’ultima comandò che fosse presa e richiusa nella legnaia. Il giorno precedente alla visita‚ la signora e le monache sue amiche cercarono di convincere Caterina a tacere per la salvezza del monastero‚ ma non ci fu nulla da fare. Fu Gio’ a risolvere la situazione‚ uccidendo la giovane e seppellendone il corpo senza testa nella sua neviera. Si aprì un varco nelle mura e si lasciò credere che la conversa fosse fuggita. Il giorno dopo‚ si svolgono le elezioni‚ che vedono la vittoria del partito avverso a quello della Signora‚ guidato da suor Angela Sacchi e dall’Imbersaga. Quest’ultima sostituisce suor Virginia nella carica di vicaria, mentre suor Angela sostituisce  Bianca Caterina Homati nella carica di superiora.  La situazione non sembrava grave‚ perché gli inquirenti non avevano gli elementi per fare gli opportuni collegamenti‚ ma l’Osio commise l’errore di scrivere una supplica all’arcivescovo‚ proclamandosi innocente di tutto e suor Virginia‚ dal canto suo‚ spedì al Fuentes una lettera‚ sottoscritta da altre monache‚ per dire che tra l’Osio e il monastero i rapporti erano corretti. In tal modo‚ vennero forniti i collegamenti che mancavano. Il Borromeo, che non sapeva nulla, si mise in allarme e iniziò ad informarsi sull’Osio e su eventuali suoi legami col monastero di S. Margherita. Fu così che il Cardinale‚ messo al corrente delle voci  che  circolavano‚ si recò  a Monza‚fingendo di compiere una visita pastorale.              

“…Federico Borromeo‚ nato nel 1564‚ fu uno degli uomini rari in qualunque tempo…un ingegno egregio…una grande opulenza…La sua vita è come un ruscello che‚ scaturito limpido dalla roccia‚ senza ristagnare nè intorbidarsi mai‚…va limpido a gettarsi nel fiume…”(5)

          Nel monastero‚ parla  con  le monache‚  e naturalmente arriva  al  colloquio  con la Signora‚ alla quale non rivolge alcuna accusa‚ cogliendo l’occasione di  un ammonimento generale‚ sulla necessità di essere  onesti  ed  esemplari‚  perché la gente osserva  e giudica. Alla fine del  colloquio‚ Marianna  si  rende  conto  della gravità della situazione ed il cardinale va via più preoccupato di quanto non fosse al suo arrivo. Nello stesso mese‚ l’Osio fuggì dal castello di Pavia e tornò segretamente a Monza‚ dove‚ il 6 ottobre‚ fece uccidere‚ da uno dei suoi bravi, il farmacista Rainerio Roncino che‚ vantandosi di essere scampato all’attentato dell’Osio‚ aveva continuato a sparlare del monastero‚ e fece incolpare dell’omicidio il prete Paolo Arrisone (l’arma del delitto‚ una pistola‚ era stata nascosta in casa sua), che fu tradotto nell’arcivescovado di Milano. 

 

EPILOGO

 

          Al processo‚ il portinaio Domenico Ferrari scagiona il prete Arrisone dell’omicidio del  Roncino‚ affermando che quest’ultimo era stato ucciso dal bravo di Gio’‚ perché aveva diffuso la voce che la bambina dell’Osio era figlia di suor Virginia. Venuto a conoscenza di queste accuse‚  l’Osio‚ si sente perduto e si rifugia presso il convento‚ nella cella di suor Benedetta. Le altre suore‚ quelle nemiche della “signora”‚ si accorgono dell’ospite ed informano subito il cardinale Borromeo il quale‚ nella notte del 25 novembre del 1606, manda a prendere suor Virginia con la forza e la trasferisce nel monastero di S. Ulderico al Bocchetto. Colà‚ Virginia tenta di scappare brandendo una spada ma, vista l’ impossibilità di una fuga‚ tenta il suicidio.

         Suor Virginia  impazzisce: si agita‚ non ha più freni nel parlare‚ dice di non aver mai voluto entrare in convento e che quella era stata una scelta imposta da altri. E dice tante altre cose‚ parlando con ira‚ ma anche con disperazione e dolore.    Nel frattempo‚ il suo Gio’ Osio  scappa dal convento e si rifugia nei dintorni di Monza. Il 27 novembre‚ iniziano gli interrogatori della superiora‚ del portinaio, della moglie e della vicaria suor Francesca Imbersaga. Due giorni dopo‚  suor  Benedetta  e  suor  Ottavia‚ spaventate  dagli interrogatori  avviati nel monastero, chiedono  all’Osio di fuggire dal  convento. Escono la sera stessa da un buco aperto nel muro  e si  avviano fuori  città. Al  ponte sul Lambro‚ l’Osio tenta  di uccidere suor Ottavia‚ buttandola  nel fiume; la suora riesce a salvarsi  e viene  trasportata nel monastero di S. Orsola in Monza‚ dove  confessa tutti i delitti commessi. La sera del giorno dopo‚ l’Osio tenta di uccidere anche suor Benedetta‚ buttandola nel pozzone di Velate‚ ma la suora non muore e viene trasportata al monastero‚ dove inizia a confessare ogni cosa.  Oramai agli inquirenti la situazione è chiara‚ tanto più che ritrovano i resti della conversa uccisa e sotterrata dall’Osio nella sua neviera. Il corpo di Caterina da Meda viene così ricomposto e sepolto in S. Stefano in Brolo‚ a Milano. Successivamente‚ vengono carcerate nel monastero anche le altre due complici della signora : suor Candida Colomba e suor Silvia Casati.  L’ Osio scappa  nei territori  di Venezia,  mentre il  Senato sentenzia la demolizione della sua casa a Monza e la costruzione di una colonna infame. Gio’ scrive una seconda lettera al cardinale Borromeo, dichiarando l’innocenza sua e di suor Virginia, ma tutto era stato scoperto. 

           Il 22 dicembre‚ a Milano, suor Virginia ammette la relazione con Gio’ Osio e l’omicidio‚ ma scarica ogni responsabilità sul giovane e sul prete Arrisone. In gennaio, Giò Paolo Osio è citato per i due tentati omicidi‚ per l’omicidio di Caterina da Meda e per il tentativo d’ incolpare il prete Arrisoni dell’omicidio Roncino; viene‚ così‚ condannato in contumacia alla forca e alla confisca dei beni. I suoi bravi‚ già in salvo oltre confine‚  sono anch’essi condannati alla decapitazione e alla confisca dei beni‚ per l’uccisione di Rainerio Roncino. 

 

(l’amante della monaca)

          

          L’Osio‚secondo alcuni‚ sarebbe stato ucciso a tradimento nei sotterranei del palazzo del suo amico Taverna. Secondo altri‚ sarebbe stato decapitato a Monza. Comunque‚dai documenti‚ risulta morto nel 1613. Il 27 novembre 1607‚ con l’interrogatorio della superiora Angela Sacchi, il vicario criminale Gerolamo Saracino dà inizio al processo di Suor Virginia, la quale si difende con la tesi della nullità dei voti e dell’azione di forze diaboliche, che avrebbero esercitato su di lei un influsso malefico. A questo punto‚ per volere del Borromeo‚ la responsabilità del processo passa al giurista Marmurio Lancillotti‚ che cumulava sia la competenza vescovile‚ che quella dell’inquisizione. Negli interrogatori si ricorre  alla tortura .

         Dal 31 maggio al 23 giugno‚ il Lancillotti interroga, al Bocchetto, suor Virginia‚ Paolo Arrisone (per la seconda volta e con la tortura della corda) ed  il portinaio con la moglie. Quattro mesi dopo, la sentenza: Virginia viene condotta in una cella delle convertite di S. Valeria‚ per esservi murata viva  per “plurima gravia, et enormia, et atrocissima delicta…” (6); l’Arrisone viene condannato a tre anni di trireme‚ mentre suor Benedetta‚ suor Candida e suor Silvia‚ vengono condannate anch’esse ad essere murate vive‚ nel convento di S. Margherita. Dopo 14 anni, il 25 settembre 1622, suor Virginia  potè uscire dalla cella dov’era stata murata. Marianna era morta‚ lentamente‚ durante quegli anni di clausura, ne era uscita una donna malata e psicologicamente distrutta. Solo la morte fisica, all’età di settantacinque anni, le porterà la pace.

 

 

                Il Monastero di Monza, detto di Santa Margherita,  si allungava lungo  lo Spalto di Porta

                de’ Grandi e vi si accedeva da un vicolo‚ che oggi si chiama appunto “Via della Signora”

 

 

MEA CARMINA

 

PROLOGO

Era lì

il centro

della tua vita;

 ne assaporavi

 il gusto‚

con la forza

dei vent’anni.

 

Una rivincita

dei sensi‚

nel godimento

che ti stordiva‚

col battito del cuore

che ti saliva

in gola.

 

Nell’ansia

di gioie proibite,

volevi esser donna,

come tante,

allor ti furono negate

tutte quante.

 

Com’è duro lottar

contro corrente,

Quando

L’unica forza

è la paura:

 

Intorno a te,

l’angoscia,

tra le mura,

vinceva sull’amor,

 contro natura.

 

Bruciavi offese

millenarie‚

offrendo il corpo‚

libero da freni‚

ed avvinghiandoti

senza poesia,

tu dissacravi

 ogni ipocrisia.

 

 

EPILOGO

Carpendo,

con l’inganno,

I tuoi segreti,

cadesti nel tranello

dell’amore.

 Pensare ancora

a vivere

era pazzia,

ma non fu fede

a fermarti‚

ma  follia.

______

NOTE

(1) [A‚ Manzoni‚ I promessi sposi‚ cap. IX. Ediz.1827]

(2) [ Opera già citata]

(3) [A. Manzoni‚ I Promessi Sposi‚ capX ediz. 27]

(4) [opera già citata]

(5) [A.Manzoni‚ I Promessi Sposi‚ cap.XXII‚ edizione 1827]

(6) [ …per gravi , numerosi  ed atroci delitti ]

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

AA. VV., Vita e processo di Suor Virginia Maria de Leyva monaca di Monza, Milano, Garzanti Gervaso, Roberto, La monaca  di  Monza. Venere  in  convento, Milano,  Bompiani  1988/1985  Marchi, G. Paolo, Per la monaca di Monza e altre ricerche intorno a Manzoni, Lib. Ed.Univ.93 Mazzucchelli, Mario, La Monaca di Monza (Suor Virginia Maria de Leyva), Milano, Dall’Oglio G.Ripamonti Historiae patriae, dec. V, liber sextus, cap. III, Mediolani, Apud Jo Baptistam et Julium Caesarem Malatestam, 1641-1643, pp. 358-377 1961

 

   Franco Pastore
 

 

 

 

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