LA VENDETTA DI NEMESI

 

 

Echo and Narcissus,  J.W. Waterhouse, 1903

 

 

ECO E NARCISO

(Dalle “Metamorfosi di Ovidio)

 

PERSONAGGI:

 

      Eco         : (ninfa delle selve montane)

       Narciso    : (figlio del dio-fiume Cefiso)

Nemesi     : (dea della vendetta)

 

Trama 

 

           Eco scorge Narciso vagare per campi e s'infiamma d'amore, ne segue furtivamente i passi e più lo segue più s'infiamma di fuoco vivo, non diversamente da quando lo zolfo vivo, spalmato sull'estremità della torcia, attira a sé le fiamme accostategli. Quante volte avrebbe voluto avvicinarlo con dolci parole e rivolgergli umili preghiere! La sua natura lo impedisce né consente di cominciare, ma, come natura le accorda, ella è pronta a ricevere suoni e ad essi ripetere parole sue.  Per caso il ragazzo, allontanandosi dal gruppo dei fidi compagni, gridò: "C'è qualcuno?", ed Eco rispose: "Qualcuno". Egli si stupisce, e quando egli gira lo sguardo in ogni direzione, grida a gran voce "Vieni!", e lei chiama lui che chiama. Si volge a guardare e, dato che nessuno si fa avanti, dice: "Perché mi sfuggi?", e riceve altrettante parole quante ha pronunciate.

        Lui insiste e, ingannato da quel fantasma di voce che ritorna, dice "Qui incontriamoci". Eco, che a nessun altro invito avrebbe risposto più volentieri, riporta: Incontriamoci" e lei stessa asseconda le proprie parole e uscita dal bosco correva a gettare le braccia all'amato collo. Lui fugge e dice fuggendo: "Allontana le mani dall'abbraccio! Che io muoia prima di abbandonarmi a te!". Lei rispose solo: "Abbandonarmi a te". Disprezzata si nasconde nei boschi e vergognosa si copre il volto con le fronde e vive, da allora, nelle caverne solitarie; ma è forte l'amore e cresce per il dolore del rifiuto. Le pene che la tengono sveglia assottigliano il suo corpo sventurato e la magrezza le dissecca la pelle e tutto l’umore del corpo si dissolve nell'aria; soltanto la voce e le ossa sopravvivono: la voce rimane, mentre dicono che le ossa abbiano preso forma di pietra. Da allora si nasconde nei boschi e solo la voce è udita da tutti: è la voce‚ che vive in lei.

         Allora si levò in alto una preghiera: " Che anche Narciso ami,  e non possegga l'oggetto del suo amore". La dea Nemesi di Ramnunte approva la giusta preghiera.

        C'era una fonte limpida, dall'acqua brillante come argento, che né i pastori avevano mai toccato, né le caprette portate al pascolo sul monte, né altro bestiame,  o uccello, o fiera, o fronda caduta da albero. Attorno vi cresceva l'erba, alimentata dalla vicinanza dell'acqua e un bosco che impediva che il luogo si scaldasse mai al sole.    

        Qui il ragazzo, stanco per l'impegno della caccia e per la calura, si buttò bocconi vinto dall'amenità del luogo e della fonte, e mentre cerca di soddisfare la sete, un'altra sete cresce, e mentre beve, affascinato dall'immagine di bellezza che ha visto, ama un'illusione senza corpo, pensa che sia corpo ciò che è onda. Egli guarda stupito se stesso immobile con la stessa espressione resta fermo, come un statua di marmo Pario. Steso a terra contempla i suoi occhi, due stelle, degni di Bacco, e i capelli, degni di Apollo, e le guance impuberi, e il collo, d'avorio, e la nobiltà del volto, e il color rosa misto al bianco di neve, e ammira tutti i pregi per i quelli lui è degno di ammirazione. Senza saperlo desidera se stesso, lui che loda è lodato, cerca ed è cercato e ad un tempo accende il fuoco e ne è arso.

         Quante volte diede vani baci alla fonte bugiarda, quante volte immerse nell'acqua le braccia per cingere il collo che gli appariva ma non poté stringere sé dentro le onde! Non sa chi sia quello che vede, ma di quello che vede arde, e il medesimo errore che inganna gli occhi li affascina. Perché mai, credulo, cerchi invano di afferrare un'ombra fugace? Ciò che cerchi non esiste. Voltati, e perderai ciò che ami! Questa che vedi è una vana parvenza d'immagine riflessa: questa non ha nulla di suo; viene con te, resta con te, se ne andrà con te, ammesso che tu riesca ad andartene!  Non desiderio di cibo, non di sonno, può smuoverlo di lì, ma abbandonato sull'erba ombreggiata guarda l'immagine mendace con sguardo insaziabile e si consuma attraverso i propri occhi; levandosi un poco e tendendo le sue braccia alle selve circostanti esclamò: "Selve, chi provò mai un amore più crudele del mio? Ben lo sapete voi che foste per molti opportuno rifugio".

        Ma quello sono io! L'ho capito e non m'inganna più la mia immagine; brucio d'amore per me: accendo e subisco la fiamma. Che dovrei fare? Dovrei chiedere o essere chiesto? E che cosa poi chiederò? Quel che voglio è con me: la mia ricchezza mi fa povero. Oh, potessi separarmi dal mio corpo! Formulerà un voto inaudito per un amante: oh se ciò che amo fosse distante! Ormai il dolore mi sottrae le forze e non mi resta più molto da vivere, e mi spengo nel fiore della giovinezza.

                                                                                                                ( Ovidio. Metamorfosì‚ libro III‚ VV 370 –479)

 

 

 

           

 

MEA CARMINA

                                                       

(PROLOGO)

 

- Io vengo a te

 sulle ali del mio amore‚

ti offro le mia braccia

ed il mio cuore.

Oh vita mia‚

quanto t’ho atteso!

Finalmente mi chiami‚

bacio il tuo viso,

e quelle ho membra‚

che tanto sognato‚

or sono mie

come vagheggiato! -

Ma crudelmente

Narciso la bloccò‚

 con poco garbo

l’infame

la scacciò:

- Va via da me! -

 Ed Eco ripeté

- Vado lontano!..-

 

E si nascose

tra le selve oscure‚

in rocce cave‚

sola e senza cure.

Consunse

 il corpo prima

e poi le ossa‚

pensando

con dolore

 alla sua croce‚

della fanciulla

rimase

solo la voce.

O Nemesi‚

figlia della notte !

Tu che sei giusta

e lottasti per amore‚

come si può distruggere

 un gran cuore?

 

Sode

per le montagne

la sua voce

e il canto suo somiglia

a un pianto‚

mentre Narciso

di gaiezza ha manto.

Che ami anch’egli

senza alcuna gioia

e che gli sfugga

 l’oggetto del suo amore

solo così

ne capirà il dolore.

 E  Nemesi raccolse

la preghiera

ed alle ninfe

promise la vendetta:

Anche a Narciso

la vita era disdetta.

 

 

 

(EPILOGO)

 

 

Un giorno

che fu spinto dall’arsura‚

raggiunse trafelato

 la pianura,

ove una fonte‚

che brillava

come argento‚

lo attirò all’acqua

in un momento.

  Mentre tutt’intorno

facea coro

alla dolcezza del luogo‚

Narciso,

 con quell’acqua,

spense il fuoco.

 E più beveva

e più  s’affascinava

di quello‚ che nell’acqua

gli sembrava

l’immagine sublime

di bellezza‚

ed ei s’ innamorò

di sua fattezza.

 

Né si rendeva conto

d’esser lui‚

voleva ad ogni costo

quel galante‚

che gli sfuggiva,

tra le onde,

ogni momento.

Cercò a lungo

 l’amante,

che non c’era

e perse il sonno‚

l’amore per la vita‚

solo quell’ombra

gli risultò gradita.

 

Poi‚

 si consunse

come neve al sole‚

né voce gli restò‚

ma solo un fiore.

Ancora oggi‚

Il fiore del narciso‚

presso la fonte,

è bello come  il viso

che Eco tanto amò.

Ella

lo cerca ancor‚

tra le colline‚

ma è solo un’eco triste

 la sua voce‚

che giunge fino al mare

e non ha pace.

 

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NOTE:

 La ninfa Eco abitava tra le selve montane; essendo molto loquace talvolta gli dei dell’Olimpo la mandavano a chiamare per farsi raccontare tutte le storie che era capace d’inventare sul momento e scacciare così la loro noia. Era soprattutto Giove ad approfittarne spesso: infatti, quando il re degli dei aveva in programma qualche scappatella sulla Terra, pregava Eco d’intrattenere Giunone. La ninfa faceva miracoli, e la dea l’aveva in grande considerazione. Purtroppo, un giorno,Giove si intrattenne troppo a lungo sulla Terra e le chiacchiere della povera Eco infastidirono Giunone a punto che si adirò e le inflisse un severo castigo: da quel giorno non avrebbe più potuto parlare come prima, ma sarebbe stata costretta a ripetere solo l’ultima sillaba dell’ultima parola di colui che l’avesse interpellata. Il castigo fu duro, e la sofferenza aumentò quando la fanciulla s’innamorò perdutamente di Narciso.
 
Narciso era un bellissimo giovane, figlio del dio- fiume Cefiso e della ninfa Liriope. Egli, ignaro della propria bellezza, viveva cacciando tra i boschi dei monti, ove non c’erano specchi in cui potersi mirare. Quando era ancora bambino, l’indovino Tiresia così aveva vaticinato sul suo avvenire: Questo bambino vivrà fino a quando non conoscerà se stesso, scorgendo la propria immagine. Molte ninfe e fanciulle mortali s’innamorarono di lui, ma Narciso non ricambiò nessuna. Eco non ebbe maggior fortuna, perché il giovane, infastidito dal suo strano modo di parlare,  rifiutò il suo amore e la scacciò

                  

 

                

   Franco Pastore
 

 

 

 

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