LUCIA APICELLA

(MAMMA LUCIA – MUTTER DER TOTEN)

 

 

 Nella  cittadina  di Cava  Dei  Tirreni,  in  provincia di Salerno, viveva Lucia Apicella, (1) più nota come " MAMMA LUCIA.  Era una donna che apparteneva  a  quella  parte  di Popolo  che  fa  della  saggezza, della pietà e dell'altruismo, l'unica grande  religione. (2) Magra, vestita di nero, recava negli  occhi  il  fascino di uno sguardo penetrante, abituato  a scrutare  nell’anima,  negli  anfratti  oscuri,  tra  i  cespugli, tra  le  zolle riarse dei campi di battaglia. Torniamo indietro nel tempo!  L’azione dei secondo  conflitto  mondiale  si  sposta nel  Meridione d'Italia. A Salerno  avviene lo sbarco  degli alleati  è l’epilogo di una  grande tragedia.  Lucia  vive  tutto  questo  con  lo sbigottimento   e  la  paura  di  tutti. Intanto, l'odio degli uomini scava in lei una profonda pietà  per il  genere  umano, per  i morti   di tutti i  popoli e, come una grande madre, freme per i  figli più sfortunati, inghiottiti  dal mostro crudele della guerra.

             Quando l'eco  dell'ultima  bomba   si  spense,  iniziò   l'avventura  del  dopo guerra e la lotta   contro  la miseria. Nel 44 i Tedeschi avevano raccolto i loro caduti in   cimiteri improvvisati, ma quanti  morti  rimanevano insepolti e che sfacelo nei cimiteri di guerra! Il gelo, i predoni  ed il vento avevano frugato tra le pietre  tombali, tra le ortiche e  la fanghiglia. L’uomo  aveva profanato  la morte, rubando scarpe, anelli e Crocifissi d'oro. La miseria aveva  indurito il cuore  e  l'umanità  non  aveva  più paura dei fantasmi, né aveva pietà  per le  membra  dilaniate di  poveri  giovani, sottratti allo amore delle loro donne  e delle madri, che  ancora aspettavano, all'ombra delle  case distrutte.  Ma San Giacomo guardava dalla  sua chiesa  e mandò  un angelo, un  cuore  di  mamma a salvare quel sacro recinto dalla furia delle iene. 

          l lampi squarciavano il cielo e la pioggia picchiava sui tetti sconnessi, sui vetri  delle imposte coperte ancora dalle tende del coprifuoco. Nei fossi e lungo le scarpate  corpi avvizziti nutrivano  i vermi  della  follia. Tra  pietosi cespugli, figli di  mamme  lontane guardavano, con  le  orbite vuote, verso  la  propria terra. La porta  al pian terreno cigolò, si aperse, sbatté con forza  contro il muro grigio.  Lucia APICELLA, sobbalzò, scese le scale e, per un  lungo istante  contemplò  quell'inferno di tuoni e lampi. Ad un tratto, avvertì un coro  di  amenti  che  sembravano  mate  realizzarsi nel buio: era come se la terra vivesse l'ultimo rantolo prima di morire. 

            -Dio  mio! -  gridò.

           Corse nella notte con la sola vestaglia che la ricopriva e si arrampico su per la collina, senza tregua. Era il 24 maggio del 1946. L'alba già imbiancava le case, nel silenzio del mattino e Lucia si fermò ansante, sedendo sul basso muricciolo del piccolo ponte sul torrente.  Quanti arbusti scendevano giù,  a valle, con una infinità di altre cose. Ad un  tratto, una scarpa attirò la sua attenzione: era uno scarpone militare, seguito  da  un povero corpo  a brandelli, tenuto insieme da una divisa lacera, infangata. I resti del cadavere, si fermarono contro un grosso ramo ed affiorarono col tronco. La mano si muoveva coi braccio senza vita, sotto la spinta della corrente e sembrava chiedere pietà; le ossa delle dita senza carne ed  il grosso buco  nella  zona  dei  petto, non impressionarono Lucia che corse verso quel figlio, che era nato per morire. Quelle furono le prime ossa da custodire con la prima piastrina.

           Seguirono scavi tra le tombe disfatte, sulle colline  del salernitano.  La  donna  scavò con le mani, lavò i teschi sotto le fontane, strappò, con  le lunghe dita, gli  ultimi lembi di carne, preservando gli scheletri dalla distruzione con lavaggi di alcool. Le città erano un deserto di pietra, dove i valori giacevano sepolti sotto le  macerie. Sulla terra bruciata, uomini mortificati nell'anima, s'apprestavano a ricostruire la  vita, dimenticando i morti e, disprezzando l'opera della Grande Madre. Lucia non aveva  rancori, non aveva odio per alcuno seguitava solitaria la sua strada, senza curarsi di chi derideva il suo cuore, il suo lavoro e le sue  mani sante. Sei anni Lucia Apicella trascorse, frugando tra i cimiteri improvvisati, sulle colline, tra le scarpate; e ne ritrovò cento di figli, poi, altri cento ed altri cento ancora, ed a chi chiedeva, rispondeva con calore:

- Queste sono le mie ossa, le ossa dei miei figli, perché anche la morte ha una mamma ! –

  Nessuno l’aiutò e qualcuno le disse di pensare ai vivi. Un giorno che si ritirava,            al tramonto, con un  carico di venti cadaveri, un drappello di militari la fermò:

- Dove andate? - le chiese il tenente, 

- Vado per i fatti miei – rispose Mamma Lucia

   Scoprirono i cadaveri e l'ufficiale chiese sbigottito:

 - Chi   sono questi? –

 - Sono morti - risposte la donna.

 - Morti?  -   chiese ancora l'ufficiale, incredulo.

 - Sono morti ... come voi - rispose Lucia.

 - E dove li portate? - le fu chiesto ancora.

 - Dove possono riposare in pace! - fu la risposta della Signora dei caduti.

          Per lunghi anni la donna persiste nella sua missione, seppellendo cadaveri di ogni colore, raccogliendo le ossa e procedendo alla loro identificazione. Mai  la forza le venne meno; anzi, una fede sempre maggiore la sostenne, nella ricerca  affannosa  delle salme, tra le pietre, e gli sterpi delle campagne. Un giorno, dopo di averne avuto visione in sogno, si recò sopra un monte e vi  trovò tre soldati legati ciascuno ad un albero, erano tre cadaveri senza testa ed i crani guardavano la terra con i vermi che giravano nelle orbite vuote. La donna si inginocchiò, pianse e pregò. Tolse la carne ancora attaccata alle ossa, che lavò nelle acque di un torrentello e portò tutto a valle. Erano altre tre salme  che  si aggiungevano alle  800 già rinvenute. Nel suo abito nero, parlava a quelle vittime della guerra in  un eterno soliloquio.Esse  non avevano nome e Giovanni, Friz, Raul, Charles diventavano tutti "figli " da  custodire in cassette di zinco, che faceva costruire a sue spese e non era ricca se non di povertà. Le note di “ Lilì Marleen” appartenevano oramai al passato e molte madri avevano atteso invano i loro fìgli; il sole continuava a splendere sulla grande tragedia. Un vociare concitato, un correre  di passi frettolosi un grido:

- Antonio, figlio mio! -

         Altre  mamme, meno fortunate, piangevano spazzolando da anni  il  medesimo vestito.  Lucia di Cava viveva  questi drammi, uno per uno, abbattendo con l'amore le  barriere  dell'odio e dell'egoismo, insegnando agli uomini che solo l'amore partoriva i fiori più belli della vita: la speranza e la fiducia  nel domani.

- Passa MAMMA LUCIA! - la piccola folla mormorò scostandosi.  La donna procedeva in fretta, stringendo sul petto un involto. Nei  pressi di casa, affrettò i passi e, nell'atrio, depose quel venerabile fardello, adagio, quasi per non fargli male.          Entrò in casa per ripulirsi e non fece caso al temporale che si andava preparando. Andò a letto all’imbrunire ed il sonno subito  vinse  il corpo  stanco. Nella  notte, fu svegliata dai tuoni  e si ricordò delle ossa, sotto la pioggia. Si disperò, corse, lacerò un lembo della camicia e ricoperse in tutta fretta quei resti  che già fuoriuscivano dalla carta bagnata; come se quel cranio, sfondato da una pallottola di          novantuno potesse sentir freddo, per l' umida pioggia: 

- L'amore per i morti è amore per la vita, e, quest'ultima è un dono del Signore!-.          Con tali pensieri si riaddormentò e sognò eserciti di giovani che la chiamavano e le         chiedevano:

 - Salvami, per mia madre ! –  Sulla fronte sudata un cenno di assenso.

 All'indomani, si rimise all'opera con una fede ancora più grande e, tra gli arbusti di una trincea, in una delle tante sue stazioni di calvario ( Monte Castello, Monte S, Liberatore, Monte  Sant’Angelo, Monte  S. Croce, Badia, di Cava, Pineta  la  Serra, Monte Demanio, Monte Pertuso)  trovò ì resti di un giovane.  Sembrava un bambino, il piccolo Franz, in uno dei taschini della giubba custodiva una fotografia con un doppio nastro bianco, frangiato d’oro, dove, in tedesco era  scritto: -Dai genitori a  nostro figlio, benedizione della tua mamma -. Lì si erano conclusi i diciott’anni di Franz e la morte aveva disfatto tutta la sua bellezza. Erano quelle le ossa che Mamma Lucia amava di più: carezzava quel cranio come fosse un bambino  ancora  in fasce,  al quale, con  un bacio, cercava di trasmettere una seconda vita.

            Due giorni dopo, era ancora alla ricerca dei suoi “tesori”. Ad un tratto si fermò. Corse giù verso la scarpata: si intravedeva qualcosa che somigliava ad una divisa. Fece spazio tra le fronde e guardò bene  tra i cespugli, non si era sbagliata: era lì, a braccia aperte e le orbite verso il cielo. Cercò la  piastrina e guardò  nelle  tasche della giubba, alla ricerca di qualcosa che ne aiutasse l’identificazione: un  portafoglio, con pochi soldi, custodiva una tessera ed un foglio sporco  ed ingiallito. Lo spiegò con  cautela e, come  se recitasse  una preghiera, lesse:        

            Cara mamma, sento che la guerra sta per finire e che  presto ci  rivedremo. Rassicura  la mia bambina, dille che il papà sta bene e che le  racconterà ancora  delle favole. Tu  prega Dio che mi risparmi la vita, io… non oso più farlo, con  questo  cuore  oppresso  dall’orrore di questa guerra…” qualcosa aveva costretto il giovane a fermarsi ed a riporre il foglio, forse con il proposito di continuare successivamente ma, il tempo era scaduto. Mamma Lucia conservò la lettera e pregò a lungo in quel luogo solitario.

           I folti rami filtravano i raggi del sole, un passero saltellava sull’estremità di un ramo. La donna guardò verso l’alto e vide una bambina dalle treccine bionde, che correva  sulla  strada della vita, cercando il suo papà e le favole che  non avrebbe mai  più raccontato.

          Nel 1952, Lucia Apicella è afflitta da un grave lutto: la morte della sua piccola

assistente, colei  che, per centinaia  di  volte, l' aveva  accompagnata per i campi  ed

i colli della misericordiosa ricerca: la nipotina. Sempre negli anni cinquanta, Mamma Lucia  si reca in Germania. Fu un trionfo per la " MUTTER DER TOTEN ". Alla frontiera fu inutile il passaporto, le strade furono  pavimentate di fiori; mamme tedesche, che non avevano più  rivisto i loro figlioli, le resero omaggio. Mamma Lucia pianse, pianse per il loro lutto. Pianse in casa Wagner, dove si recò per portare i resti del loro figliolo Josef, trovato sul monte San Liberatore.

            Nel dicembre di quello stesso anno, la Madre dei Caduti è a Roma, dove  riceve  l'omaggio dell'Ambasciatore di Germania., Intanto Radio Stoccarda trasmetteva:  “ Un popolo che ha saputo dare al mondo una MAMMA LUCIA merita tutto il nostro amore, tutta a nostra gratitudine, tutto l'onore di cui siamo capaci ”. 

            E  finalmente, anche  il 'popolo italiano  riconobbe ufficialmente l'opera di Lucia Apicella, che fu decorata con medaglia  d'oro e con la seguente motivazione:

 NEL SALERNITANO, CAMPO DI BATTAGLIA LA POPOLANA LUCIA APICELLA, CHIAMATA  MAMMA  LUCIA,   CON STRAORDINARIO AFFETTO  DI  MAMMA SI PRODIGA  DA ANNI E TUTTORA, CON  DISINTERESSATO AMORE, ALLA  RICERCA, RACCOLTA E  IDENTIFICAZIONE DELLE SALME DI SOLDATI CADUTI IN COMBATTIMENTO, DANDO COSI' MAGNIFICO  ESEMPIO DI CARITA' CRISTIANA . (2)

           L'8 gennaio del  1952, Beniamino Gigli, al SAN CARLO di Napoli, canta la canzone  " MAMMA ",in onore di Mamma Lucia. L'omaggio ha un  duplice scopo: quello di onorare la donna che era stata premiata con medaglia d'oro e quello di creare l'occasione  per  chiederle di raccogliere le  salme  di  25 giovani  napoletani,  fucilati  e sepolti  a  Poggioreale senza alcuna indicazione.

           Passò altro tempo ancora nella ricerca affannosa dei morti  della  guerra  e  Mamma Lucia incominciò ad incurvarsi nelle spalle, incominciò a parlare alla gente, che  nulla aveva appreso dalla grande tragedia. Certamente la donna sperava che le lacrime e la morte avessero placato l'odio degli uomini. Per  molti  anni  ancora, fino  al  suo ultimo istante di vita, dall'altare  della sua Chiesetta, parlerà  alle folle dell’amore, predicendo altre “ bufere di morte ” se l'uomo non cesserà  dalla sua follia, dimenticando la via dell’egoismo.

          Mamma  Lucia piange, piange e prega per i carcerati,  per  i  lebbrosi, per i drogati, per  quelli senza cuore. Forse il suo linguaggio non  viene  compreso, forse le sue lacrime si asciugano al vento del nulla, ma è certo che è stata la sua fede e quelle di esseri come lei a mantenere uniti i pezzi di un mondo che si va sgretolando sempre più. Lei, il premio l'ha già ottenuto, quando quel giorno al tramonto, una visio ne la turbò fin nelle ossa vecchie e stanche :   Due eserciti fantasmi muovevano, da parti opposte, verso il sole; non avevano fucili,  non  vi erano bandiere, ma fasci di fiori che lanciavano nella sua direzione. Le loro parole, erano un inno alla pace ed all’amore.

 

 MEA CARMINA

 

EPILOGO

Tra le ossa del dolor

le mani stanche,

Signora della morte

senza colore  .

Non  t’importava

il nome  dei figli tuoi

piegavi le ginocchia

ad ogni viso.

Negli occhi

senza lacrime

un'unica pietà

per i corpi squarciati

dalla guerra.

 

Li ripulivi dal sangue,

dalla terra,

poi, con le mani   unite

su ogni capo,

recitavi lentamente

la preghiera:

sempre la stessa,

col medesimo dolore,

Signora della morte

senza colore  .

 

                                                                                                                    (F.Pastore - da Historiae Siderea)

______________                                                                                      

NOTE

1) Lucia  Apicella, davanti alla quale cantò Beniamino  Gigli e Papa Giovanni Si  inginocchiò  commosso  nacque  nella  cittadina  di  Cava dei Tirreni, in provincia di Salerno, nel1887. Nei lunghi anni del  dopoguerra, raccolse i resti  mortali di  circa mille soldati  di ogni  bandiera. Per questa sua opera, fu premiata dal Presidente della  repubblica con  medaglia d’oro e  fu chiamata dai  tedeschi  “  Mutter der  toten” : “La madre di tutti i caduti”,mentre radio Stoccarda  annunciava:- Un  popolo  che ha saputo dare al mondo una Mamma Lucia  merita tutto il nostro amore, tutta la nostra gratitudine, tutto l’amore di cui siamo capaci - ( da IL GIORNALE D’ITALIA del 27 marzo 1952)

 2) “Nel salernitano, campo di battaglia, la popolana Lucia Apicella, chiamata “Mamma Lucia” con straordinario affetto di mam ma, da anni  si prodiga e tuttora, con disinteressato amore, alla ricerca, raccolta ed  identificazione, delle salme  dei soldati caduti  in  combattimento, dando così  magnifico esempio di carità cristiana”.  ( Ass. Naz. Tutela  Italaliani  All’estero)

BIOGRAFIA ESSENZIALE

F.Pastore – Mamma Lucia ed altre novelle – VERSO IL DUEMILA – 1978

F.Pastore – Mutter der Toten – edizioni Palladio – Salerno 1979

 

   Franco Pastore
 

 

 

 

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