Peppa

   ( IL SOGNO DI GRAMIGNA)

 

 

        […]Parecchi anni or sono, laggiù lungo il Simeto, davano la caccia a un brigante, certo Gramigna, se non erro, un nome maledetto come l'erba che lo porta, il quale da un capo all'altro della provincia s'era lasciato dietro il terrore della sua fama. Carabinieri, soldati, e militi a cavallo, lo inseguivano da due mesi, senza esser riesciti a mettergli le unghie addosso: era solo, ma valeva per dieci, e la mala pianta minacciava di moltiplicarsi. Per giunta si approssimava il tempo della messe, tutta la raccolta dell'annata in man di Dio, ché i proprietarii non s'arrischiavano a uscir dal paese pel timor di Gramigna; sicché le lagnanze erano generali.

         Il prefetto fece chiamare tutti quei signori della questura, dei cara-binieri, dei compagni d'armi, e subito in moto pattuglie,squadriglie, vedette per ogni fossato, e dietro ogni muricciolo: se lo cacciavano dinanzi come una mala bestia per tutta una provincia, di giorno, di notte, a piedi, a  cavallo, col  telegrafo. Gramigna sgusciava loro di mano, o rispondeva  a  schioppettate, se  gli camminavano  un  po' troppo sulle calcagna. Nelle campagne, nei  villaggi, per le fattorie, sotto le frasche delle osterie, nei  luoghi  di  ritrovo, non si parlava d'altro  che  di lui, di Gramigna, di  quella caccia accanita, di quella fuga disperata. I cavalli dei carabinieri  cascavano stanchi  morti; i compagni d'armi si buttavano rifiniti per terra, in tutte  le stalle; le pattuglie dormivano all'impiedi; egli solo, Gramigna, non era stanco mai, non  dormiva  mai, combatteva  sempre, s'arrampi-cava sui precipizi, strisciava fra le messi, correva carponi nel folto dei fichidindia, sgattajolava  come  un lupo  nel letto asciutto  dei torrenti. Per  duecento  miglia all'intorno, correva la leggenda delle sue gesta, del suo coraggio, della sua forza, di quella lotta disperata, lui solo contro  mille, stanco, affamato, arso dalla sete, nella pianura immensa, arsa, sotto il sole di giugno. Peppa, una delle più belle ragazze di Licodia, doveva sposare in quel tempo compare Finu «candela di sego» che aveva terre al sole e una mula baia in stalla, ed era un giovanotto grande e bello come il sole, che portava lo stendardo di Santa Margherita come fosse un pilastro, senza piegare le reni. 

La madre di Peppa piangeva dalla contentezza per la gran fortuna toccata alla figliuola, e passava il tempo a voltare e rivoltare nel baule il corredo della sposa, «tutto di roba bianca a quattro» come  quella di una regina, e orecchini che le arrivavano alle spalle, e anelli d'oro per le dieci dita delle mani: dell‘ oro ne aveva quanto  ne  poteva avere Santa Margherita, e dovevano sposarsi giu-sto per Santa Margherita, che cadeva in giugno,dopo la mietitura del fieno.«Candela di sego» nel tornare ogni sera dalla campagna,lasciava la mula all'uscio della Peppa, e veniva a dirle che i seminati erano un incanto,se Gramigna non vi appiccava il fuoco,e il graticcio di contro al letto  non sarebbe  bastato a contenere tutto il grano della raccolta, che gli pareva mill'anni di condursi la sposa  in casa, in groppa alla mula baia. Ma Peppa un bel giorno gli disse:

- La  vostra  mula  lasciatela stare, perché  non  voglio  maritarmi -.

Figurati il putiferio!  La vecchia si strappava i capelli, «Candela di sego» era rimasto a bocca aperta.  Che è, che non è, Peppa s'era scaldata la testa per Gramigna, senza  conoscerlo  neppure. Quello sì, ch'era un uomo! - Che ne sai? -Dove l'hai visto? - Nulla. Peppa non rispondeva neppure, colla testa bassa, la faccia dura, senza pietà per la mamma che faceva come una pazza,coi capelli grigi al vento, e pareva una strega. - Ah! quel demonio è venuto sin qui a stregarmi la figliuola! –

         Le  comari che avevano invidiato a Peppa il seminato prosperoso, la mula baia,e il bel giovanotto che portava lo stendardo di Santa Margherita senza  piegar le reni, andavano dicendo ogni sorta  di brutte storie, che Gramigna  veniva a  trovare la ragazza di notte in cucina, e che glielo avevano visto nascosto sotto il letto.La povera  madre teneva accesa una lampada alle  anime  del purgatorio, e  persino  il  curato era andato in  casa di  Peppa, toccarle il cuore  colla  stola, onde  scacciare  quel  diavolo  di Gramigna  che ne aveva  preso  possesso. Però  ella seguitava  a dire che non lo conosceva  neanche  di vista  quel  cristiano; ma invece pensava  sempre  a  lui;  lo vedeva in sogno, la  notte, e alla mattina  si levava  colle labbra  arse, assetata  anche essa, come lui. Allora  la vecchia la chiuse in casa, perché  non sentisse più parlare di Gramigna, e tappò  tutte  le fessure dell'uscio con  immagini  di  santi. Peppa ascoltava quello  che dicevano nella strada, dietro le  immagini benedette, e si faceva pallida e rossa, come se  il diavolo  le  soffiasse tutto  l'inferno nella faccia. Finalmente  si sentì  che  avevano  scovato Gramigna nei fichidindia di Palagonia.

 - Ha fatto due ore di fuoco! - dicevano; - c'è un carabiniere morto, e più  di tre compagni d'armi feriti. Ma gli hanno tirato addosso tal gragnuola di fucilate che stavolta hanno trovato un lago di sangue dove egli era stato -.

           Una notte Peppa si fece la croce dinanzi al capezzale della vecchia e fuggì dalla finestra.   Gramigna era proprio nei fichidindia di Palagonia - non avevano potuto scovarlo in  quel forteto da conigli – lacero, insanguinato, pallido per due giorni di fame,arso dalla febbre, e colla carabina spianata. Come la vide venire, risoluta, in mezzo alle macchie fitte, nel fosco chiarore dell'alba, ci pensò un momento, se dovesse lasciar partire il colpo.

  - Che vuoi? - le chiese. - Che vieni a far qui? Ella non rispose, guardandolo fisso.

- Vattene! - diss'egli, - vattene, finché t'aiuta Cristo! - Adesso non posso più tornare a casa, - rispose lei; - la strada è   tutta piena di soldati. -Cosa m'importa? Vattene! –

E la prese  di mira colla carabina. Come essa non si  moveva, Gramigna, sbalordito, le andò coi pugni addosso:

- Dunque?... Sei pazza?... O sei qualche spia?

- No, - diss'ella, - no!

- Bene, va a  prendermi  un  fiasco  d‘ acqua, laggiù  nel  torrente, quand'è così  -.

Peppa andò senza dir nulla, e quando Gramigna  udì le fucilate si mise a sghignazzare, e disse fra sé:

- Queste erano per me -. Ma  poco  dopo vide ritornare la ragazza col fiasco in mano, lacera e insanguinata. Egli le si buttò addosso, assetato, e poich'ebbe bevuto da mancargli il fiato, le disse infine: - Vuoi venire con  me? - Sì,- accennò  ella  col  capo avidamente, - sì -.

 

 

 

APPROFONDIMENTI

 

                 “…- È finita! - disse lui.- Ora mi prendono -e aveva la schiuma alla bocca, gli occhi lucenti come quelli del lupo. Appena cadde sui rami secchi come un fascio di  legna, i compagni d'armi  gli furono  addosso tutti in una volta.Il giorno dopo  lo strascinarono  per  le  vie del villaggio, su di un carro, tutto lacero e sanguinoso. La gente gli si accalcava intorno per vederlo; e la  sua  amante, anche lei, ammanettata, come una ladra, lei che ci aveva dell'oro quanto Santa Margherita! La povera madre di Peppa dovette vendere «tutta la roba bianca» del corredo, e gli orecchini d'oro, e gli anelli per le dieci dita , onde pagare gli avvocati di sua  figlia , e tirarsela di nuovo in casa, povera, malata, svergognata, e col figlio  di Gramigna in collo. In  paese  nessuno  la vide più mai. Stava rincantucciata nella cucina come una bestia feroce, e ne  uscì soltanto  allorché la sua vecchia fu morta di stenti, e si dovette vendere la casa.  Allora, di notte, se  ne andò via  dal paese, lasciando il figliuolo ai trovatelli, senza voltarsi indietro neppure,e se ne venne alla città dove le avevano detto ch'era in carcere Gramigna. Gironzava intorno a quel gran fabbricato tetro, guardando le inferriate, cercando dove potesse esser lui, cogli sbirri alle calcagna, in-sultata  e  scacciata ad  ogni  passo. Finalmente  seppe  che  il suo amante non era più lì, l'avevano condotto via,di là del mare,ammanettato e colla sporta al collo. Che  poteva fare? Rimase dov'era, a buscarsi il pane rendendo  qualche servizio  ai soldati, ai carcerieri, come facesse parte ella stessa di quel gran fabbricato tetro e silenzioso.Verso i carabinieri poi,che le avevano preso Gramigna nel folto dei fichidindia, sentiva una specie di tenerezza rispettosa, come l'ammirazione bruta della forza,ed era sempre per la caserma, spazzando i cameroni e lustrando gli stivali,tanto che la chiamavano «lo strofinacciolo della caserma». Soltanto quando partivano per qualche spedizione rischiosa, e li vedeva caricare le armi,diventava pallida e pensava a Gramigna. “ (1)

                                                                                      

           (G.Verga: da Vita dei Campi)

 

 

MEA CARMINA 

 

 

PROLOGO

 

E scalpitava lì,

 sul suol dell’aia,

di compar Finu

la sua mula baia.

 

Iddio  colorava

l’aria bruna,

coi tenui raggi

della bianca luna

 

Rifiutava la Peppa

 oro e vigna,

scegliendo, per amor,

  il  rio Gramigna.

 

Ed una notte,

di quel caldo giugno,

 corse tra i fichidindia

dietro al sogno.

 

Senza pensar lontano,

né all’onore,

tra nudi sassi

ricercò l’amore,

 

il fiato le mancava

tra corsa e passi

come una bestia

ne seguì l’odore

 

Divenne del bandito

la compagna,

lacera e nuda

su per la montagna.

 

Di notte lo scaldava

col suo amore,

di giorno lo seguiva

con terrore.

 

EPILOGO

Ma un dì, lungo il Simeto,

 come  lupa,

fu presa nella rete,

selvaggia e cupa.

 

Finirono le gesta

del Gramigna

La Peppa, triste,

ritornò alla vigna.

 

Guardando il cielo

Tra la costa e il tiglio,

per amore del padre,

si staccò dal figlio.

 

Finì così,

lasciandosi campare,

vivendo solamente

col sognare,

 

senza il suo cuore

perso in una notte

lì nel burrone,

tra le cave grotte.

 

  

 

[ Da “Un unico grande sogno” di F.Pastore]

 

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(1) Nel 1880 esce la raccolta di novelle "Vita dei campi“ e, l'anno successivo, il primo romanzo 

      del ciclo  dei vinti ed il suo capolavoro: "I Malavoglia"-

(2) Libera riduzione in versi della celebre novella del Verga.

 NOTE

a) Giovanni  Carmelo  Verga nacque  a Catania  il 2  settembre 1840, al  numero 8 di via Sant'Anna,  da  Giovanni  Battista Verga Catalano  e Caterina  Di Mauro Barbagallo originaria di Belpasso.

       Discendente del ramo cadetto dei  baroni  di  Fontanabianca ed  apparte-nente  alla nobiltà antica di Vizzini,era il secondo condo di sei  figli. Lasciati  gli studi di legge per entrare, nel 1861, nella Guardia  Nazionale, manifesta fin  da  giovane, un  grande interesse per la letteratura, pubblicando,a soli 22anni, "I carbonari della montagna", un romanzo storico dove è  già  visibile l’entusiasmo patriotico per l‘ annessione della Sicilia al Regno d'Italia, ardore che diventa ancora più evidente nel secondo romanzo, "Sulle lagune"(1863) e  con la fondazione del giornale "Roma degli Italiani". Nel  65, si  trasferisce a Firenze,ove pubblica :“ Una peccatrice" (66) e "Storia di una capinera" (71). 

b) Figura di Peppa:adattamento di Paolo Liguori

 

 

   Franco Pastore
 

 

 

 

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