ARRIVATO PRIMO

 

 

Primo, si chiamava Primo, e doveva aver avuto genitori sadici perché con il cognome Arrivato non si può, se non con particolare senso noir, chiamare un figlio Primo ed il secondo Secondo e meno male che si erano fermati al terzo, Terzo.

Arrivato Primo, si chiamava, e per giunta era afflitto da eiaculazione precoce.

Con quel nome e quel cognome, a scuola, era stato tutto un fiorire di battutacce facili cui non si era mai del tutto rassegnato.

Conosceva a menadito tutti i sinonimi del suo cognome e se ne serviva abbondantemente per non confrontarsi con esso tutte le innumerevoli volte che, sembrava una maledizione, gli capitava.

“Sono giunto... sono capitato... sono sopraggiunto... sono pervenuto... sono approdato... sono venuto...”

Eccelleva nei 1500 metri di corsa campestre e per non mettere in difficoltà lo speaker delle manifestazioni sportive a cui partecipava  si sentiva obbligato a vincere sempre.

Non poteva permettere che si affermasse che il secondo arrivato fosse Arrivato Primo con tutta la confusione che ne sarebbe scaturita.

Tutto sommato questi erano grattacapi di poco conto di fronte a quello che si sarebbe poi rivelato il vero problema esistenziale e che era legato ai rapporti con l’altro sesso.

Fisico d’atleta, biondo come un nordeuropeo e con gli occhi azzurri, suscitava  un’attrazione irresistibile per la gran parte delle ragazze che frequentava e se le  ritrovava intorno spudoratamente disponibili costringendolo a precipitose ritirate per non dover fare i conti con quello che costituiva il suo “problemaccio”.

La prima volta che ne aveva accertata l’esistenza era stata con Rosetta, una compagna di Liceo di tre anni più giovane, che faceva girar la testa a tutto l’istituto con le sue minigonne mozzafiato.

Già due volte il Preside l’aveva convocata nel suo ufficio per invitarla ad una maggiore morigeratezza ma anche i castigati tailleur che seguirono non riuscivano a imprigionare la sua prorompente femminilità.

Si sarebbe potuta vestire con un saio che non sarebbe passata inosservata.

Primo ci sbavava dietro e Rosetta sbavava dietro a lui; non c’era voluto molto perché i due poli fossero calamitati l’uno verso l’altro.

La prima volta che si ritrovarono da soli in aperta campagna  Primo, al tentativo di andare oltre la soglia dei baci, fu attraversato da una scarica improvvisa ed ancor prima di poter considerare cosa gli stesse succedendo se ne pervenne.

Aveva detto proprio cosi: “Sono pervenuto, mi dispiace...”

Rosetta, per la verità, fece un affettuoso tentativo di minimizzare ma Primo, assolutamente preso alla sprovvista dalla debacle, piombò in una crisi su cui si sarebbe concentricamente arrotolato.

Fu attraversato da mille angosce ed interrogativi e giunse persino a collegare il suo disturbo  ad una maledizione agganciata al suo nome e cognome e , tutto sommato,  ad una preveggenza del genitore...

Sull’onda di queste elucubrazioni ipotizzò anche di chieder lumi ai due fratelli che, secondo il suo ragionamento deduttivo, avrebbero, in successione, dovuto avere meno problemi dei suoi (Terzo senz’altro meno di Secondo!) ma, per svariate  motivazioni, non ebbe il coraggio di farlo.

In effetti tra di loro mancava quella complicità che un simile argomento avrebbe richiesto e  poi avrebbe rischiato che la sua difficoltà fosse rimbalzata in famiglia dove vigeva il mito dei successi amatori del padre che ricordava orgogliosamente, ancor oggi e con pari dignità, le sue gesta eroiche sul fronte albanese e le avventure sessuali che gli avevano garantito una rinomanza  in linea con la virilità esaltata nel Ventennio.

A questo punto però ritenne che fosse indispensabile una verifica attendibile e questa volta puntò difilato sul mercato del sesso; tra i viali che costeggiavano la circonvallazione avrebbe accertato la fondatezza della diagnosi che il rapporto con Rosetta aveva, angosciosamente, evidenziato.

Con l’ansimante utilitaria si diresse, dopo il tramonto, verso quella che aveva configurato come un’analisi clinica d’intrinseca validità anche se non esplicitamente prevista dal Servizio Sanitario Nazionale.

Durante il primo giro di perlustrazione aveva adocchiato dieci “lucciole” e già questo  gli aveva procurato un’eccitazione ben visibile per l’eccessivo arrossamento dei lobi.

Si fermò in una piazzola cercando di stabilire  a quale delle “specialiste”  affidare l’accertamento diagnostico.

Optò  per quella ragazza di colore della terza postazione anche in considerazione del fatto che la ipotizzabile difficoltosa  familiarità con l’italiano favorisse un atteggiamento  di riserbo e discrezione.

“Quanto?”

“Venticinque euro con guanto.”

Accidenti! Non le aveva, non aveva in tasca che venti euro ed una manciata di centesimi…

Tentò di mercanteggiare ma la contrattazione, che ringalluzziva (così si favoleggiava!) quelle donne nelle loro terre d’origine, non aveva alcun riscontro nella uggiosa realtà della circonvallazione.

Una BMW gli si affiancò e la negretta dalle gambe chilometriche si allontanò con essa.

In prima e lentamente continuò quel percorso a luci rosse per agganciare un’altra “infermiera”.

Fu salvato da quel baritonale “Quindici euro!” che rivelava un insospettabile viado e  passando oltre, si accostò ad una più che prosperosa biondona.

I venti euro stavolta  furono sufficienti e la Cinquecento sembrò patire più del dovuto la salita della donna.

Nel viottolo successivo, con la colonna sonora di un latrato insistente, si slacciò i pantaloni.

Gli era già stato difficile prendere quella decisione ma, per  il poco spazio a disposizione, altrettanto impegnativa si rivelò la conquista di una posizione adeguata.

Al termine delle contorsioni  le gambe di entrambi fuoriuscivano lateralmente dallo sportello aperto, la schiena della malcapitata pativa lo sfregare del freno a mano tirato e Primo, quasi soffocando sulle rotondità dilaganti, si mise alla prova.

Nove secondi ed otto decimi!

Eguagliato il record dei cento metri piani!

“Bravo! Come un coniglio!”

Avrebbero dovuto puntargli una rivoltella alla gola e premere il grilletto per avere un effetto più devastante!

La Cinquecento procedeva a strattoni riportando alla sua residenza un Primo che, come inevitabile ed estrema soluzione ondeggiava tra l’idea di  un nodo scorsoio, una camera a gas o un balzo nel vuoto dal campanile del duomo...

A cena, con la famiglia riunita, si sentiva pervaso da un  disagio diffuso e con la sensazione di essere sbirciato di sottecchi e,  quando apparve al centro del desco la teglia fumante con lo stufato di coniglio, si alzò precipitosamente e corse in bagno a vomitare.

“Ma come diavolo hanno fatto a saperlo?”

Gli incubi notturni lo portarono ad essere inseguito da un branco di squittenti orittologi che lanciavano slogans più diversi.

Al risveglio ne ricordava uno perfettamente che suonava: “Primo, coglione, sei solo imitazione!”

Sotto il getto caldo della doccia cercava, in un tentativo irrazionale, di scrollarsi di dosso quel malessere angosciante ma la mente si rifiutava d’imboccare un qualsiasi  sentiero liberatorio ed era tutto un rincorrersi di sensazioni soffocanti.

Seguirono giorni in cui trovava sempre maggiori difficoltà nel districarsi tra gli impegni abituali  e bastava un nonnulla per risvegliare la disperazione.

“Mago di Berlino: risolve i vostri problemi sessuali!”

Il volantino ritrovato nella cassetta delle lettere, dapprima snobbato, a poco a poco acquistava un senso, finiva per aprire uno spiraglio e accendeva, pur con tutte le riserve del caso, una flebile speranza.

“E se veramente?”

Alla fine di una  settimana infiocchettata dai se e dai ma aveva finalmente  deciso: si sarebbe aggrappato a questo miraggio.

Un odore acre d’incenso, una messinscena orribilmente kitsch, un individuo paludato da un’enorme veste viola gli trasmisero un’immediata esigenza di fuga ma si fece forza ed affrontò la seduta negromantica.

Ne uscì con una boccetta di liquido verdognolo che, secondo il responso, avrebbe cancellato di colpo ogni difficoltà; ora bisognava programmarne la sperimentazione.

Rosetta no, non avrebbe potuto tollerare un’altra disfatta con Rosetta, e gira che ti rigira ancora una volta il sesso a pagamento gli parve l’unica via percorribile.

Questa volta,  anche per evitare incontri imbarazzanti, sul vialone lungo lago che distava dalla città circa dieci chilometri.

Un quarto d’ora prima del rapporto sessuale avrebbe dovuto ungere per bene il basso ventre ed una sensazione benefica di calore avrebbe segnalato l’impatto corretto della terapia.

Nel buio di uno slargo stradale aveva riversato quasi la metà del prezioso liquido sulla parte incriminata e ristette in attesa del maturare degli eventi.

Dopo dieci minuti (cinque gli sarebbero serviti per la contrattazione ed i preliminari) mise in moto e raggiunse il ciglio della via dove un gruppetto di provocanti donnine attendevano i clienti.  Quella sensazione di caldo che sentiva salire aveva schiuso panorami rosei più concreti e quindi, seguendo le indicazioni dell’occasionale partner, si fermò sulla sponda del lago a ridosso di due salici che delimitavano uno spiazzo al riparo di sguardi indiscreti.

Ora il calore spadroneggiava e la ritualità della svestizione dovette essere eseguita in piedi e all’esterno dell’auto per evitare sfregamenti che aveva avvertito particolarmente dolorosi.

Se anziché a pagamento avesse dovuto affrontare un romantico rapporto amoroso le sue chances  (in piedi accanto allo sportello aperto, nudo a metà con scarpe e calzini asincroni  e le mani che tentavano di sollevare i lembi della camicia…) sarebbero state quasi nulle ed il ridicolo le avrebbe affondate a piene mani ma ora, fortunatamente, non era  l’aspetto formale che si accollava una rilevanza basilare.

Dolci preliminari? approcci piacevoli? Non appena quelle esperte mani si fiondarono sulla parte ”principe”, l’immediato orgasmo fu condito da una vampata di calore da altoforno di tale intensità da costringerlo ad un urlo disumano ed ad una corsa furibonda verso il laghetto alla ricerca di un possibile ed improrogabile refrigerio.

La luna rivelò un uomo a bagnomaria, soverchiato da dolori e intollerabili trafitture, che ululava  al cielo mentre la donna sull’auto era riversa sul sedile in preda ad una crisi di riso convulso.

Basta!!! Con il sesso avrebbe chiuso: laico con voto di castità.

I suoi pomeriggi ritornarono ad essere dedicati all’atletica leggera con allenamenti durissimi e scrupolosi.

Di tanto in tanto con il piacere solitario si ritagliava spazi limitati ma niente di più.

Il suo futuro sembrava codificato e programmato su binari  quasi asettici sin quando, qualche tempo dopo, non  entrò in scena Cosy, l’inquilina del terzo piano.

Il suo vero nome era Cosetta, giovane e piacente  moglie del capitano di corvetta Esposito, costretta (con tutto quello che ne conseguiva!) a trascorrere circa sei mesi all’anno da sola,

L’aveva incontrata nell’ascensore.

“Primo, hai qualche dimestichezza con l’elettricità?”

“Si, me la cavo.”

“Allora potresti essermi d’aiuto. Ho un’ interruttore che non mi funziona. Ho controllato la lampadina e non è fulminata. Faresti un salto da me, oggi pomeriggio, per risolvermi quest’inghippo?”

“Certamente. Vengo dopo pranzo.”

Era vero che  l’interruttore  faceva le bizze per un falso contatto, ma Primo si accorse quasi subito che la richiesta d’aiuto aveva ben  altri obiettivi.

“Perfetto! Ora funziona! Non puoi sapere che piacere mi hai fatto!”

Si avvinghiò a lui e lo baciò furiosamente. Erano nella stanza da letto e immediatamente Primo fu proiettato verso il talamo senza neanche poter tentare una qualsivoglia opposizione.

Cosy era in preda ad un vero e proprio furore e cominciò a slacciargli la camicia.

La lasciò fare, Primo, ma quando le carezze cominciarono ad essere più intriganti sussurrò: “Non posso. Ho l’eiaculazione precoce!”

Si fermò di scatto Cosetta, lo fissò per qualche secondo  e poi scoppiò a ridere fragorosamente mentre Primo era ripiombato integralmente nel suo dramma.

“Vuol dire che è il mio destino! Per conquistarmi qualcosa devo saperlo guadagnare.”

Primo la fissava sconcertato senza riuscire a cogliere il senso di quelle frasi.

Cosetta si girò ed estrasse dal cassetto del comodino una foto incorniciata  ponendola bene in vista.

“Questo è Pino, mio marito. Anche con lui è stata la stessa trafila. Per fortuna ora è tutto a posto. Ora pensa solo a rilassarti!”

Primo osservava impietrito quell’omaccione in divisa con quel viso squadrato, la barba folta e quegli occhi severi che sembravano fissarlo in un livido rimprovero.

Stesa al suo fianco la donna proseguiva lentamente nella spoliazione e mentre il respiro le si faceva affannoso la mano leggera si posava sul suo torace con studiata lentezza e le labbra s’incollavano alle sue in un bacio insinuante e avvolgente. Primo non faceva che fissare quegli occhi della foto. Molto di più di  un sottinteso monito...

Sentiva che l’eccitamento man mano cresceva ma senza quella violenza prorompente che gli era consueta; era lei a guidare il gioco dolcemente ed i preliminari gli sembrarono durare un’eternità.

Incombeva, però,  su quella febbre dei sensi  quello sguardo inflessibile.

Il cuore gli scoppiava quasi mentre il rapporto si faceva via via sempre più avviluppante e quell’ansimare di Cosetta gli segnalava di non essere da solo a goderne.

Quando fu tutto finito ed i loro corpi, avvolti ancora nel tepore dell’intreccio, giacquero l’uno accanto all’altro Primo si ritrovò a fissare la foto ed a sorridere.

“Hai visto che non ti dovevi preoccupare? sei stato perfetto!”

La tirò verso di sé teneramente e, mentre la baciava, le sussurrò: “Sei stata un angelo”

“Una crocerossina, vorrai dire?”

E risero insieme di gusto.

Stretta nella vestaglia di seta ristette addossata alla porta  ascoltando, fino a che fu possibile, il fischierellare allegro di Primo che scendeva le scale e poi si mosse verso la camera da letto.

“Ma dove diavolo l’avrò messa la foto di Pino? Eppure mi sembrava che fosse sul comodino… Non può essere sparita nel nulla!”

 

Enzo Napolitano

 

 

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