DON GIULIANO DI TERRAMEZZANA
Erano le otto di sera, quando Lorenzo e don Fernando bussarono alla porta del casolare, dove Giuliano, parroco di Terramezzana, stava vivendo le gioie del paradiso terrestre, tra le braccia di Maddalena, una intraprendente biondina del suo paese. Saltò sul letto, come se gli avessero punto il didietro con un punteruolo ed avrebbe voluto non rispondere, ma la macchina, parcheggiata sotto il pergolato di uva fragola, denunciava inequivocabilmente la sua presenza.
- Un momento !- sbiascicò con voce chioccia, saltellando nudo per la stanza;
- Sto dormendo!- continuò, come a prendere tempo;
- Ora metto la vestaglia!- gridò, cercando di essere il più naturale possibile.
Aprì l’anta del grosso armadio, che occupava tutta la parete di fronte al letto, e vi nascose la Maddalena, sussurrandole:
- Zitta!-
- Non fiatare!-
- Per amor di Dio!-
Infilò la vestaglia di seta e si diresse verso la porta, che quel sempliciotto di Lorenzo, suo cognato, sembrava avesse in animo di scardinare.
- Siììì! – chiese ancora, aprendo lentamente, come se si fosse svegliato in quel momento.
- Don Giuliano!- esclamò il giovane, sorridendo come un ebete e lanciando fugaci occhiate nel casolare piuttosto buio;
- È stata tutta idea mia, quella di farvi una sorpresa, con don Fernando vostro padre, siete contento? Ho pensato che eravate qui, tutto solo, e vi poteva far comodo un po’ di compagnia. Eh!…La solitudine dei preti!...-
- Bravo, bravo! – lo interruppe, con ironia, don Giuliano,
- Sei proprio un bravo figliolo, ti ricorderò questa sera nelle mie preghiere! –
Lorenzo notò qualcosa di minaccioso nelle ultime parole, ma non vi fece caso e continuò:
- Non ci fate entrare? Posso ordinarvi la camera da letto, mentre voi ci preparate un buon caffé -
Al prete stava per venire un accidente, ma si frenò ed esclamò prontamente:
- Il caffé è finito, mi dispiace, ora mi vesto ed andiamo a prenderlo da qualche parte!-
- Che peccato, il vostro è così buono!- commentò Lorenzo;
- Che peccato! – ironizzò, con stizza, Giuliano.
Scomparve in camera da letto e chiuse a chiave la porta, per prudenza. La Maddalena uscì, appena in tempo, per riprendersi da una sorta di soffocamento e si distese sul letto, con le mani sulle grosse tette e gli occhi che le erano usciti fuori dalle orbite.
- Dentro l’armadio non ci entro più!- sussurrò tutto d’un fiato, con il petto che le scoppiava.
- Don Giuliano, vi serve aiuto?- gridava, intanto, Lorenzo dal soggiorno.
- Li mortacci tua!- disse, a voce bassa, don Calandino,
- Come dite!- replicò Lorenzo,
- I campanacci, li senti i campanacci delle pecore?-
Come Dio volle, il parroco, dopo di aver cacciato la donna sotto il letto, riuscì a portar fuori il padre e quel maledetto impiccione, che gli aveva rovinato un momento di meraviglioso piacere. Nei giorni che seguirono, si guardò bene dall’andare al casolare, accontentandosi delle affettuose attenzioni della signora Maria, una devota parrocchiana, un po’ gelosa, ma molto alla mano.
L’abile donna lo prendeva per la gola, con gustosi manicaretti, intervallati da pratiche molto distensive, che facevano bene al corpo ed all’animo ingordo del sacerdote. Certo, Maria era piuttosto in carne, ma la strada si trovava comunque, per approdare con soddisfazione, fin sulla spiaggia del piacere, mentre il marito preparava il caffè, convinto che la moglie, brava massaggiatrice, fosse occupata in una delle solite sedute. In tal guisa, don Giuliano trascorse tutto il mese di giugno.
Luglio era arrivato e la notte era dolcissima. Un lungo sospiro tradì la profonda nostalgia del suo grande amore: la dolcissima Monica, fresca e profumata come una rosa di maggio, il suo sogno proibito, la sua “Lulù”,con i capelli alla francese e le cosce lunghe. Se l’era cresciuta “con le formichelle”, fin dall’età di quindici anni, da quando la piccola credeva che i bastoni fossero quelli, che usavano i vecchi per camminare. Ma aveva imparato rapidamente tutte le arti della seduzione ed infatti, rifiutava al momento giusto e cedeva, quando bisognava mettere un altro punto fermo, nella dinamica delle cose. Sapeva mordere senza far male la bambina, ed era capace di trasformare la bocca in un piccolo paradiso, impastato di peccato e voluttà. Don Giuliano credeva di saperla gestire, ma era pilotato come un bambino, che cerca il calore della mamma ed il latte del suo seno.
- Non mi chiede mai nulla la mia piccola! – soleva dire, in confidenza, a qualche amico fidato. Ma cosa doveva chiedere, dal momento che era lui a darle tutto? Forse che la casa nuova, la macchina ed il posto di lavoro non bastavano? Chi provvedeva all’intera famiglia? Ed ai pranzi delle ricorrenze?
L’astuzia di Monica era condita di belle frasi, di un pizzico di gelosia e della certezza di una disponibilità totale, oltre ogni limite di tempo, come potrebbe fare una moglie con il suo sposo. Ma le cose non stavano così: la partita era condotta su di un terreno, poco vantaggioso per il nostro don Giuliano: il tempo, un alleato prezioso, che avrebbe sistemato le cose per benino.
La fanciulla che cominciava ad apprezzare il benessere, presto capì che non aveva più bisogno di protezione: la sua nuova condizione poteva offrirle molto di più di un prete anzianotto. Occorreva, per ora, agire con tatto e lasciare che le cose facessero il loro corso, senza forzature e senza fretta. In fondo, quell’uomo meritava pure qualcosa che somigliasse, sia pure lontanamente, alla riconoscenza. E poi, provava per lui uno strano sentimento, una sorta di compatimento, che solo un cattivo cristiano avrebbe definito pietà. Ella preferiva chiamarlo affezione e, con le lacrime agli occhi, si commuoveva tutte le volte che pensava alla sua solitudine, o ad una eventuale malattia. Quasi ci si vedeva, col grembiulino da infermiera, a curarlo come se fosse uno zio, a cui doveva badare per forza di cose.
Il distacco, per andare a lavorare a Milano, forse, capitava come il cacio sui maccheroni: era il destino che le veniva in aiuto, avviando, naturalmente, una strategia di separazione efficace e sicura. Per i primi tempi, si sarebbero visti spesso, poi, lui si sarebbe scocciato di salire su e lei sarebbe scesa giù, sempre più di rado, finché la dicotomia non sarebbe stata definitiva. Per intanto, si vedevano e c’era quasi un certo gusto a godere di quell’uomo, che correva da lei come se fosse la femminilità personificata e l’unica dispensatrice di gioie e lussurie. Don Giuliano godeva fino a tre o quattro volte e, quasi ci rimaneva, tanto erano le energie profuse. Poteva anche quella essere una soluzione, pensava la bella Monica, però sarebbe stato imbarazzante, dopo, dover spiegare e chiarire tante cose. Preferì non pensarci oltre, nell’attesa dell’intercity dalla Calabria.
Come l’altoparlante avvertì che il treno era in arrivo al terzo binario, incominciò a ravviarsi i capelli ed a ritoccarsi le labbra: era perfetta. L’abitino scollato, che aveva comprato la settimana prima, evidenziava il seno, che il prete, a dire il vero, sognava di baciare tutte le notti, profumato appena di chanel.
L’intercity entrò in stazione e lentamente si arrestò. Monica guardò tra la folla, ma era difficile orientarsi, in quella marea di persone. Un ragazzino la urtò e venne subito ripreso dalla madre. Ad un tratto, le sembrò di vederlo e corse in quella direzione, ma non era lui, gli somigliava soltanto e nemmeno troppo, tutto sommato, con la camicia aperta avanti e gli occhialini dai vetri scuri.
La folla scemò e di don Giuliano nemmeno l’ombra. Che avesse deciso di troncare la relazione? Disse a se stessa, ma era ancora troppo presto per una tal decisione e si recò al bar per un caffè. Lo vide. Era in prossimità della cassa e si avvicinò per salutarlo.
- Dolcissima !- le sussurrò abbracciandola, appena si accorse di lei;
- Mi fai compagnia per un caffè?-
- Certo, caro!- rispose la ragazza con un sorriso.
Di lì ad un’ora erano l’uno nelle braccia dell’altro, in un discreto alberghetto di periferia.
- Ho deciso, iniziò il prete con voce grave, verrò pure io a Milano!-
- Magari, rispose Monica, sarebbe bellissimo!- intanto era impallidita, nel mentre che continuava l’amplesso, muovendosi sull’uomo con le grosse tette, che ballavano davanti ai suoi occhi stralunati.
- Devo scacciare questa solitudine che mi opprime!- continuò Giuliano, e raggiunse l’orgasmo per la seconda volta.
- Io cerco di esserti vicina, non puoi lamentarti di me!-
- Certo, a mille chilometri di distanza!- commentò il parroco di Terramezzana; poi, chiuse gli occhi e si abbandonò al piacere intenso che la ragazza gli dava, muoven-dosi su di lui, come una forsennata.
- Ti amooo!- gridò Monica, al suo ennesimo orgasmo.
- Continuarono in quella guisa fino alle quattro del mattino, finché la ragazza, esausta, cessò la sua frenetica galoppata e si abbandonò al sonno ristoratore:
- Buona notte, amore!- mormorò al suo uomo, che le rispose con una tenera carezza sui glutei.
Anche don Giuliano era stanco, tanto quanto non lo era mai stato; eppure era avvezzo a quel tipo di fatica e non ne capiva il motivo, ma era felice e chiuse gli occhi con un leggero sorriso sul volto, come a dire:
- Questa si che è vita!-.
Erano circa le nove, quando la fanciulla si svegliò. Scese dal letto tutta nuda, come si trovava ed andò a spalancare le ante dell’unica finestra della camera. Si diresse in bagno ed aprì la doccia, e con voce sostenuta chiamò:
- Giuliano, tesoro!- ma non ebbe alcuna risposta.
- Caro!- chiamò, ma l’uomo non corse, come faceva sempre, per godere ancora, sotto la carezza dell’acqua, della sua bella Monica. La ragazza chiuse la doccia e rientrò in camera da letto. Il prete era lì, rigido come un blocco di marmo, col volto sorridente e la parte ancora tesa, come se fosse pronto a fare l’amore. L’amante lo chiamò ancora, lo scosse, poi si accasciò piangendo ai piedi del letto e lì rimase a lungo, mentre la città si svegliava, per prepararsi a vivere un nuovo giorno di lavoro.
Franco Pastore