'O MUNACIELLO
Nelle campagne del sud, dominate un tempo dalle angherie dei caporali, dall'ignoranza e dalla miseria, era frequente, nei discorsi di tutti, fare riferimento a questo personaggio simpatico e burlesco, che aiutava e scherniva a seconda delle circostanze. ‘O munaciello, infatti, soccorreva le famiglie in miseria a patto che si conservasse il segreto del suo intervento. Sovente lo si trovava nella stanza dei bambini, con i quali giocava vestito da folletto, con un berretto rosso e l’aria da birichino. Altre volte sedeva dispettoso sullo stomaco di chi aveva mangiato bene.
Credenze fasulle o realtà? La superstizione è la forza dei poveri e forse la saggezza di generazioni che si materializza e si fa personaggio, intervenendo là dove la giustizia del mondo maggiormente tace.
In un piccolo paesino del Cilento: Santa Marina di Orria, viveva una famigliola di tre persone, che campavano vendendo le poche uova delle sette galline del pollaio, costruito a ridosso del muro a secco, dell'unica stanza della casa. La costruzione si ergeva alquanto fuori del centro abitato, dopo la breve discesa che, dalla chiesa, portava all'inizio della stretta mulattiera, che conduceva ai campi fiancheggiati da spuntoni e scoscesi valloni. Uno stretto ponticello di assi di legno univa il ciglio della strada a ciottoli con l'entrata della casa, che prendeva luce dalla unica finestra sul fosso erboso, che serviva da scolo per l’acqua piovana dell'inverno.
Comare Assunta, sui quarant'anni, mandava avanti la casa ed accudiva la figlioletta Mena di undici anni ed il marito Dionigi, che trascinava, fin dalla infanzia, una gamba deforme. Anche a proposito di questa infermità, la gente del paese fantasticava attribuendola ad un calcio del demonio, deriso dal nonno mentre il piccolo Dionigi stava per venire alla luce.
Un giorno, Assunta si recò, come di consueto, nell'unico negozio di alimentari, per scambiarvi le poche uova con un chilo di pasta ed un pacco di sale. Don Alfredo, un uomo che la sapeva lunga e curava bene i suoi affari, in presenza di altre comari, prese in giro la donna dicendo:
-Beata voi comare, che avete o' munaciello che vi aiuta -.
All’istante, la donna si sentì guardata con invidia dalle paesane e scappò via, tutta rossa in viso. Tornata a casa, ella non fece che pensare alle parole dell’uomo e decise di sperimentare quella credenza, che si tramandava da generazioni. Due sere dopo, poiché era avanzato un bel piatto di minestra, all’ultima ora, senza che alcuno la vedesse, si recò sulla soffitta sconnessa e vi depositò il piatto dicendo:
-In nome di Gesù e di Maria, màngete stù piatte e riéste rind'a casa mia! -
Il mattino successivo, la donna, di buon ora, salì sul soffitto e nei piatto vuoto trovò trecento lire. Con le mani che le tremavano, si fece il segno della croce e scese col piatto, che era talmente pulito che sembrava nuovo. Quella mattina, oltre alla pasta, comprò dello zucchero e della farina, intenzionata a fare uno di quei dolci che ricordava di aver mangiato una volta, da bambina. A pranzo, Dionigi rimase á bocca aperta, quando la moglie pose sul tavolo, senza tovaglia, un bel dolce profumato di scorza di limone e coperto di zucchero.
- Assu' si pazza! e dimàne cùmme mangiàmme?- (1)
- Cull'aiuto do’ Signore- rispose tranquillamente la donna, dopo aver conser-vato una fetta abbondante di quel dolce. A sera, mentre il marito russava e la piccola dormiva, sognando il sole dell’estate, la donna portò sulla soffitta lo stesso piatto, contenente la grossa fetta di dolce, che aveva conservato. All'indomani, nel piatto trovò cinquecento lire, delle quali ne conservò la metà.
Nei giro di due anni, fece un discreto gruzzoletto, quel tanto che le bastò per aggiustare la casa ed iniziare il corredo di Mena.
Nei paese non si parlava d’altro che della fortuna di compare Dionigi, che aveva la casa più bella e mangiava la carne due volte al mese.
Mena era già una signorina, quando i genitori decisero di mandarla a Policastro, per apprendervi il mestiere della sarta e la fanciulla partì con un bel vestito nuovo e le scarpette col mezzo tacco, come la figlia del sindaco. Tutto il paese accorse per vederla e stettero lì a guardarla, finché non scomparve dietro la curva, dopo la piccola piazza. Lo scandalo fu completo, quando Dionigi fece l’abbonamento mensile col barbiere ed Assunta si riparò dal freddo con un pesante cappotto con i bottoni grandi.
- 'O munacielle sàpe ccà ddà…fa!- (2) qualcuno mormorava, invidioso di quella grossa fortuna. Intanto, la donna continuava le sue notturne salite sulla soffitta, riservando le cose migliori per il suo ospite misterioso.
Le galline presero á fare più uova, facendo prosperare sempre più quella casetta dalle mura senza intonaco.
Trascorsero altri due lunghi anni e Mena ritornò da Policastro. Prese a cucire i vestiti per conto suo, guadagnando discretamente ed acquistandosi la stima della moglie del sindaco e di qualche altra famiglia benestante. Passarono altri mesi e la casetta faceva bella mostra di sé con un bel ponticello in muratura e le tendine alle finestre, dagli infissi riverniciati. Comare Assunta girava vestita decentemente e perfino Dionigi aveva comprato un vestito ed un bastone nuovo.
Una sera di dicembre, la buona donna aveva conservato il solito piatto di minestra ed aspettava che tutti dormissero, per riporlo segretamente al solito posto. Il vento soffiava tra le case e le tegole si muovevano sul tetto. Dionigi russava nel suo letto e Mena ribatteva l’ultima cucitura, alle luce debole della lampada a petrolio. Uno sbadiglio e la giovane lasciò tutto per mettersi a letto. Fu allora che Assunta prese il piatto di minestra e si avvio verso la scala.
Un tuono assordante fece tremare i vetri della finestre e Dionigi apri gli occhi, proprio nel momento in cui la moglie si accingeva á salire i primi gradini della scala, che portava in soffitta.
- Dove vai con quel piatto? - le chiese con curiosità e fermezza.
-Ma io.., veramente..- balbettò la donna, che non voleva assolutamente svelare il segreto, per non perdere i benefici, che il suo ospite le elargiva.
- Porta ‘o mangià o' munaciello!- intervenne Mena, per trarre d’impaccio la madre, la quale continuò, suo malgrado, a salire, riponendo, oltre la botola della soffitta, il piatto pieno. L’interrogatorio durò tutta la notte, o quasi: l’uomo doveva essere sicuro della fedeltà della moglie e si acquietò soltanto quando, tradendo il segreto, gli fu svelata ogni cosa.
Al mattino, Assunta si recò sulla soffitta per raccogliere l’offerta del munaciello; il marito attendeva ai piedi della scala, aspettando che la moglie gli mostrasse il piatto con i soldi, ma le cose andarono diversamente. Era un piatto pieno, quello che la donna gli mostrava, ma era colmo di escrementi di capra. La poveretta, sgomenta e disperata, corse fuori dell’ uscio gridando:
Segreto svelato, furtùna ittàta…-(3)
- Zitta, per carità…- le intimava Dionigi, ma la donna sembrava come impazzita e continuava a ripetere:
-Pe’ ‘nu marìte sciancàte, ‘o munacielle m’ha abbandunàte… ‘o segrète ‘agge svelàte e a furtùna ‘agge ‘ittàte. Tu marìte disgraziàte a furtùna t’ha iucàte, ‘o fuculàre nunn’appìcce, mo’ te mànge stu’ sasìcce, pure si ‘e corne null’avùte, si nu’ piéchere curnùte!- (4)
Sono passati molti anni da allora‚ ma molti affermano che‚ nelle notti invernali‚ sentono ancora la voce della donna, che rimprovera al marito la sua dannosa gelosia.
(1) “ Assunta,
sei pazza! Domani come mangeremo?”
(2) - Il munaciello sa quel che deve fare – è un’allusione alla fortuna improvvisa.
(3) “Segreto svelato, fortuna buttata!”
(4) “Per un marito zoppo, il munaciello mi ha abbandonato…ed anche se non gli ho messo
le corna, rimane comunque un cornuto, per quello che ha causato”
Franco Pastore