SCRIVERE PER NON MORIRE

 

        

            Il pendolo, nel salone, batteva l’ultimo rintocco della mezzanotte, quando mi alzai dal letto con la fronte imperlata di sudore ed una sete tremenda. Mi mossi adagio per il lungo corridoio e raggiunsi la cucina. Barcollai, sfiorai il muro e la litografia di Puccini oscillò lievemente. Presi la bottiglia dal frigo e bevvi avidamente acqua gassata. Le bollicine mi solleticarono la gola e ruttai rumorosamente.

            Un ronzio insopportabile sembrava nascere dal centro del cervello ed i suoni mi giungevano ovattati, per i densi muchi catarrali, che mi affiggevano da tempo. Respiravo a fatica, con lo stomaco gonfio, che nemmeno l’acqua riusciva più a digerire, mentre un prurito tremendo mi costringeva a grattare violentemente la testa, piena di croste rosse e squamose. Lentamente, mi portai nello studio, dove mi accomodai davanti al computer già acceso. La sedia scricchiolò, quando il fondo schiena occupò il verde cuscino di morbida lana e gli occhi, per un brevissimo istante mi si chiusero, prima di divenire lucidi e vivi, come quelli di un bambino irrequieto, che si apprestava ad iniziare un nuovo gioco.

            Le dita rapidamente si mossero sulla tastiera e trasformarono ciò che restava di un uomo, in qualcosa di strabiliante, un formidabile interprete dei suoi sogni, capace di vivere tutte le fantasie che riusciva a scrivere e memorizzare sul word di quel magico personal computer. Mi fermai un istante, tossii penosamente liberandomi la gola, poi, ripresi celermente il  viaggio, senza consentire altri indugi.

           La spiaggia era splendida, baciata dal sole del primo mattino e lei era lì, come una calda venere di bronzo, incredibilmente vera, col suo sorriso morbido ed accattivante, col corpo mozzafiato ed intrigante. Era lì, bella e disponibile, che mi tendeva le braccia. Il mio sogno si stava concretizzando.  

           Respirai a pieni polmoni e mi sentii forte, giovane e fortunato, mentre il suo seno s’avvicinava danzando, sul corpo scolpito. Ecco, le sue braccia mi cingevano il collo, mentre le labbra morbide e salate carezzavano le mie, in un bacio lungo, tenero ed appassionato, che continuò sulla sabbia, in una girandola interminabile d’amore.

           Un dolore lancinante al petto mi costrinse ad uscire dal sogno e rividi le mani rugose sulla tastiera. Tossii violentemente e respiravo a fatica. Presi la bottiglia che avevo sistemato tra il tavolo ed il fax e bevvi abbondantemente, bagnandomi  la ma-glietta di lana. Mi sentivo meglio. Ripresi a scrivere e, nel medesimo istante, decisi che non sarei più tornato indietro. Le dita volavano sui tasti di plastica grigia e lentamente rientrai nel mio sogno. Lei era lì ad attendermi e sorridendo mi prese la mano:

- Sono io il tuo sogno Dimitriu Nicolaos - mi disse con dolcezza.

           Le dita continuarono a battere con regolarità, mentre il corpo, lentamente si stava smaterializzando, per materializzarsi in un’altra dimensione.

           Intanto, la spiaggia, al tramonto, si colorava di rosso; il mio corpo abbronzato profumava di mare e la donna, al mio fianco,  mi stringeva il braccio, come per impedirmi di scappare via. Mi giunsero echi di voci  lontane, con il ritmo incessante dei tasti, ma non vi prestai molta attenzione. Un colpo di tosse cercò di prendermi, ma lei, il mio sogno, strinse il braccio più forte e rimasi sulla spiaggia, che le prime ombre della sera rendevano suggestiva e misteriosa .

           Rimanevano solo le mani sulla tastiera, pensai di avere la situazione in pugno. La luna era alta nel cielo e l’acqua una tavola luccicante, quando ci immergemmo ed iniziammo a baciarci con passione. Il seno era sodo ed alto, come se volesse baciare la luna e mi solleticava con i capezzoli, che giocavano con i peli del  to-race. Mi succhiò dolcemente il lobo, mordendomelo, alla fine, senza farmi male.

           Era solo la mia volontà che continuava a scrivere sul Word processor . I tasti si muovevano da soli, avevo sconfitto la mia sorte. Intanto, non mi giungeva più alcuna voce, ero salvo ed il mio sogno era stato scritto per intero. La presi tra le braccia e la distesi sulla sabbia ancora calda. Entrai in lei dolcemente, mentre si aprirono le porte del paradiso e vidi l’empireo, mentre una musica angelica mi sconvolse l’animo. Piansi di piacere, mentre la gioia si aprì, inondandomi della sua essenza più sublime.

           Mi giunse un vocìo indistinto. Qualcuno gridò che ero scomparso. Sorrisi tra me e me, per essere uscito di scena in quel modo. Mi cercarono a lungo, guardando giù nella strada, nel caso fossi  volato dal decimo piano, ma, in quelle ore di primo mattino, la città si svegliava lentamente e tutto era tranquillo ed uguale a mille altri giorni passati. Passarono alle mie carte, nel disperato tentativo di una traccia scritta, che dipanasse l’arcano. Verso le nove e trenta, Elsa, una stupida cameriera filippina, notò il computer acceso e lo spense. Fu come se non fossi mai nato, il nulla mi inghiottì per sempre. Non lo avevo salvato, il mio sogno.                 

Franco Pastore

 

 

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