TRA LE FIAMME UNA MARGHERITA
Nello spazio freddo, una meteora si staccó e andava
rotolando giù in una corsa vertiginosa andando a fracassarsi su di un picco di
un’altissima montagna, poi prese fuoco, le fiamme erano lingue ardenti, che
distrussero tutto; di quella meteora, rimase soltanto un pezzo enorme di
carbone dai riflessi verdastri.
Degli studiosi, scalarono quella montagna, per vedere cosa di misterioso
succedeva sulla cima.
Trovarono quel pezzo di carbone, ma quale fu la sorpresa, quando toccandolo
era soffice come una pasta di pane.
Lo misero in un sacco di nailon a lo portarono in
laboratorio per esaminarlo. Ma, l’indomani quel pezzo di pasta nera verdastra
era scomparsa e il sacco era intriso di sangue. Un’ora dopo si sentì un
terribile boato nel campo di fronte al laboratorio, la gente accorsa non
vedeva che fiamme altissime, che bruciavano in cielo e in terra, le fiamme
erano tanto alte che avevano fuso cielo e terra. Accorsero i pompieri, ma le
fiamme non si spegnevano, le autoradio della polizia cercavano di allontanare
la gente che guardava troppo da vicino, ma il caos cresceva sempre più ed
anche le fiamme.
Ardeva un rogo in mezzo al campo senza che nessuno riuscisse a spegnerlo. La
paura era terrificante, le fiamme non si espandevano, il rogo era un cerchio
enorme in mezzo al campo e le dimensioni erano sempre uguali, solo crescevano
in altezza, sembrava che dovessero incendiare il cielo.
Tra le fiamme irriversibili piano piano prese forma un fiore enorme, verdastro
e a forma di una margherita con la bocca grande e beffarda, che sghignazzava
come una vecchia strega, lo stelo, era un grosso tronco d’albero con tante
radici e le braccia due lunghissime foglie con tre dita. Due occhi, che erano
due caverne, ad un tratto le radici si allungarono repentinamente,
attorcigliando persone vicine e poliziotti, il tutto spariva tra le fiamme.
La gente fuggiva impazzita e terrorizzata, poi di colpo le fiamme andavano
rimpicciolendosi, fino ad estinguersi e non era rimasto che quel pezzo di
carbone enorme. Dieci persone erano sparite e non era rimasto nemmeno il
segno.
La polizia era diventata di sasso, immobile,
impotente di fronte a tanto disastro.
Grandi scienziati e studiosi accorsi sul posto, cercarono di rimuovere quell’impasto
e portarlo di nuovo in laboratorio, fu impossibile, era appiccicato
solidamente al suolo a non si poteva muovere, anche se viscido e molle come
gomma americana, tentarono di strapparne un pezzo dopo tanta fatica,
tagliandolo con una lama affilatissima, ma nello stesso istante, che la lama
penetró, un afflusso di sangue sgorgó bagnandoli tutti.
Non c’era verso di fermare quel sangue che sgorgava come una fontana e dove
passava seminava il terrore.
Due innamorati erano distesi sull’erba di smeraldo, godendosi quel dolce sole di quell’eterna estate, erano giovanissimi e biondissimi, ridevano e scherzavano felici, quando videro quella macchia rossa, che da lontano correva verso di loro velocemente, s’alzarono e scapparono cercando di raggiungere un rifugio, ma tutto quell’incredibile fiume rosso, correva più forte di loro, furono costretti ad entrare in una grotta, che videro come un miraggio per la loro salvezza.
I1 sangue correva ancora come un torrente in piena e
ora andava a tuffarsi in mare, anche il mare era diventato rosso e dopo un
giorno di quell’afflusso di sangue quel pezzo di pasta era diventata di
dimensioni molto più piccole e ora si poteva anche muovere.
Fu portata al laboratorio e stavolta due guardiani rimasero a sorvegliarla.
Nella notte un boato svegliò quella piccola isola, che s’adagiava
sull’Atlantico, il laboratorio era in fiamme e in pochissime ore era soltanto
un’ammasso di macerie, tra quelle macerie due corpi introvabili. Dell’impasto
verdastro nessuna traccia; si ebbero notizie dopo parecchie ore. Un altro
boato e altre fiamme vicino alla grotta, dove due stupendi ragazzini biondi
dormivano l’uno accanto all’altro abbracciati strettissimi, per la paura
subita il giorno prima.
Si svegliarono di soprassalto, tenendosi per mano si
affacciarono all’uscita della grotta, rimasero ipnotizzati a guardare quel
fiore enorme che rideva sguaiatamente tra quelle altissime fiamme, Marzia gli
disse: “Chi sei, cosa vuoi da noi?”
Con voce tremante Elio aggiunse - Se vuoi una mano puoi contare su di noi,
siamo pronti ad aiutarti - .
I1 fiore, finalmente sorrise felice e sghignazzando con quella sua stridula
voce, allungò le sue radici, con enorme paura di Elio e Marzia che cercavano
di fuggire dentro la grotta, ma le radici li raggiunsero subito e quale fu lo
stupore, quando ogni radice cercava di accarezzarli quanto più delicatamente
poteva, poi di tra le fiamme altissime uscirono pure le braccia a forma di
foglie con tre dita e presero i due ragazzini, che tenevano lontano dalle
fiamme, mentre da quegli occhioni neri a forma di caverna, uscivano lacrime di
sangue e le lacrime spegnevano le fiamme, piano piano sparì quel fiore che
aveva pianto e loro rimasero adagiati sull’erba insieme, erano spaventati e
tenendosi abbracciati caddero svenuti su quell’enorme pasta di carbone
verdastra intrisa di sangue.
La gente correva da ogni parte, evitando la striscia di sangue che aveva
formato un torrente, che correndo fino al mare, aveva lasciato il letto vuoto,
ma colorato di rosso.
Tutti gridavano e piangevano per quei biondissimi ragazzini morti su
quell’impasto orribile, peró incredibilmente non erano scomparsi come gli
altri. La polizia cercò di rimuovere i due corpicini, ma erano attaccati
all’impasto e l’impasto attaccato al suolo, come prima non si poteva muovere,
per la paura di creare di nuovo un fiume di sangue, la polizia ordinò di
lasciare il luogo a tutti quanti e tornare nelle loro case, compresi i
genitori dei ragazzi, lasciando tranquillo il luogo, forse non sarebbe
accaduto niente.
Caló la notte, di tra le tenebre, un fiore stranissimo si materializzó da
quell’impasto, che prendendo fra le braccia i due ragazzini si allontanó a
velocissimi passi verso la montagna dove era caduta la meteora, in pochi
minuti fu sulla montagna e accese quelle terribili fíamme che incendiavano il
cielo, precedute dal tremendo boato, che faceva tremare tutta l’isoletta, che
prima era tranquilla e felice, dove la gente sorridente e allegra, era tutta
amica perché si conoscevano tutti essendo poche migliaia di abitanti. Avevano
tutto, stavano tutti bene finanziariamente, praticamente era un’isola
solitaria, buttata sull’Atlantico e proprietà di ogni famiglia che l’abitava,
si volevano tutti un gran bene.
Adesso da quel tranquíllo, sorridente paradiso, era
sorto l’inferno, nessuno poteva più dormire e ad ogni boato scappavano tutti
seguendo l’itinerario delle fiamme e recandosi sul posto, con il terrore
dipinto in quei volti, che avevano perso il sorriso.
Di tra le fiamme altissime, i due giovani tenuti in braccio da quella enorme
margherita si svegliarono, il fiore li depose sul letto di fiamme e piano
piano si trasformarono anche loro in due margherite, peró di dimensioni molto
più piccole del mostro, poi acquistarono quella risata stridula che rompeva i
timpani. Confabularono qualcosa tra loro e all’improvviso quelle braccia a
forma di foglie, afferravano manciate di fuoco a le buttavano tra la gente
impaurita che sostava sotto la montagna dalla cima in fiamme.
Tutti cominciarono a scappare, ma quelle palle di fiamme dove colpivano
incendiavano, tante persone colpite, morirono incendiate da un rogo che alla
fine lasciava soltanto una pasta di colore verdastra, appiccicosa come la
gomma americana. Adesso il panico tra quella gente era irrefrenabile, tanto
più che da quella montagna le fiamme non si spegnevano più e quei tre fiori
erano sempre lì in mezzo e ogni persona che si avvicinava, veniva assalita da
quelle palle di fiamme.
I1 sindaco dell’isola riunì tutta la gente in piazza e propose loro di
allontanarsi da lì, appena avrebbero avvistata una nave nel porto, (in quell’isola
venivano sempre delle navi turistiche,) sarebbero scappati tutti quanti da
quell’orrore, o sarebbero morti tutti.
Intanto due uomini, due giovani e due ragazze muniti di bombe, erano riusciti
ad arrivare ai piedi della montagna inosservati, approfittando del buio e
della buona sorte, si erano intrufolati nella foresta fitta ai margini di un
torrentello che scorreva tranquillo, ma che copriva i loro rumori e fruscii.
Piano e silenziosi, salivano la montagna attraverso quei fitti alberi che
andavano a raggiungere la vetta da quel lato che praticamente veniva usato per
le gite in montagna dagli abitanti. Arrivarono in cima e si nascosero dietro
una baita, presero le bombe e le lanciarono a grande velocità verso quelle
fiamme altissime, l’esplosione fu terribile, le risate stridule delle
margherite s’innalzavano sguaiatamente, mentre la troupe si andava
allontanando velocemente verso la discesa, erano quasi arrivati vicino al
torrentello, quando li raggiunse una raffica di palle di fuoco che li buttó in
fiamme nel torrente, neanche l’acqua spense quelle fiamme, si spensero
soltanto quando rimase quella pasta appiccicosa.
Intanto, le fiamme sulla montagna, come per incanto si spensero e i tre fiori
rimasero senza fiamme di protezione, si abbracciarono tutti e tre, la madre e
i figli, tanto era la differenza di volume, confabularono tra loro, poi
insieme, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra cominciarono a scendere
la montagna, ma le radici si estendevano ovunque e ovunque passavano tiravano
tutto, attorcigliando come proboscide di elefanti, e scaraventavano lontano
ogni cosa che si trasformava in fiamme che si riducevano come sempre in pasta
molle e appiccicosa. Quando arrivarono ai piedi della montagna, la medesima
era adesso una collinetta, tutta un quadro di distruzione, come se avesse
fatto il suo passaggio un violentissimo tornado, capace di atterrare una
montagna. La gente era tutta scappata verso il ridente porto che era un
magnifico scenario d’arte naturale, afferravano barche di tutte le dimensioni
e cercavano di allontanarsi, remando come disperati e lasciando tutto nelle
loro ricche case di gente benestante.
I mostri avanzavano, stridendo come treni sulle rotaie e distruggendo tutto
con quelle loro radici di fuoco, casette di sogno erano diventate pasta molle;
arrivati sul porto, gente non ce n’era più, erano tutti al largo nel mare
azzurro, in quelle barchette che brillavano al sole d’oro di quell’isola in
cui era sempre estate e che ora era rimasta vuota e triste in balia di tre
margherite assassine.
Vedendosi soli i tre mostri diventarono come pazzi, urlavano e con quelle
braccia a forma di foglie si davanopugni terribili, una lotta impari in riva
al mare che era ridiventato azzurro come per miracolo, ogni traccia rossa era
scomparsa, fínché i due piccoli mostri caddero in mare.
Quello che successe fu incredibile, in quanto erano tutta elettricitá e al
contatto con l’acqua esplosero, con un fragoroso frastuono. La margherita
gigante guardava il mare affascinata da quell’esplosione e rideva, rideva con
quella voce stridula da strega, mentre avanzava verso il centro
dell’esplosione e anche lei immerse le radici nell’acqua, fu un attimo e un
boato acutissimo tramutò il mare in fuoco d’artificio, sembrava adesso la
distruzione di quel mare tranquillo, azzurrissimo e splendente; quelle
esplosioni continuarono per diverse ore, poi tutto si chetò, tutto era troppo
tranquillo e il mare ritornó di sangue, l’azzurro era solo in cielo, sotto era
tutto rosso, l’azzurro non s’immergeva più in quell’acqua limpida che era
sempre stata e che ora non lo era più per colpa di una meteora caduta da quel
cielo azzurro.
Sembrava tutto in silenzio, tutto improvvisamente finito, piano piano anche il
colore del mare cominciava a ritornare normale, quando un violento temporale
si abbattè sull’isoletta devastata da quella pasta molla rimasta dalle cose
incendiate che al contatto della pioggia esplosero, esplodeva qualcosa da
tutte le parti finché l’isoletta si divise in tanti pezzi, che il mare
agitatissimo dal tremendo temporale portava via.
Era sparita per sempre la piú bella isoletta che prima dormiva felice
nell’azzurro dell’oceano Atlantico
Giovanna Li volti guzzardi