TISBE E PIRAMO

(IL SOGNO DI PIRAMO)

 

 

    (Metamorfosi di Ovidio – Libro IV)

 

PERSONAGGI:

 

Piramo (giovine babilonese)

Tisbe (la sua innamorata)

 

 

Trama 

 

        Piramo e Tisbe‚ due giovani babilonesi‚ si amavano perdutamente‚ ma  le loro famiglie erano contrarie alla loro unione. Per questo motivo erano costretti a parlarsi attraverso una fessura‚ che si apriva nell'alto muro che divideva le loro abitazioni.

        Finalmente‚  decisero che era giunto il momento di fuggire‚ per dare libero sfogo al loro amore‚ dandosi appuntamento nei pressi di un gelso. Tisbe giunse per prima, ma spaventata da una leonessa, fuggì perdendo il velo che la ricopriva. Piramo, giunto subito dopo, vedendo la leonessa dilaniare il velo che riconobbe essere della sua amata Tisbe, pensò che la fanciulla fosse stata sbranata e, folle di dolore, si procurò la morte con la sua spada. Il suo sangue tinse i frutti del gelso che, da quel giorno,da bianchi‚ diventarono  rossi.

       Tisbe, quando si fu calmata, tornò sui suoi passi appena in tempo per raccogliere le ultime parole d’amore del suo amante‚ che spirò tra le sue braccia.   La fanciulla‚ non sopportando di dover vivere senza il suo Piramo‚ si uccise.

 

                                                                           Metamorfosi - libro IV – vv. 55-166)

 

Approfondimenti

Ritorniamo Alle Metamorfosi di Ovidio‚ con un dramma che ha avuto una vasta eco nella letteratura di ogni tempo‚ basti pensare che lo troviamo in Dante‚ nel Purgatorio (XXVII 37-39) ‚ in Boccaccio (A. V. XX 43-88)‚ in  Shakespeare‚ infatti‚ la tragedia "Romeo e Giulietta" , è molto simile a Piramo e Tisbe. Tra l’altro‚ Shakespeare conosceva alla perfezione le Metamorfosi. 

 

 

MEA CARMINA 

 

( PROLOGO )

L’assira Babilonia

Avea due cuori

Che all’unisono

morivano d’amore:

La bella Tisbe

ed il giovane Piramo

coglievano dolcezze

ad un sol ramo.

 

L’odio feroce

tra le due famiglie

non arrestò l’amore

degli amanti

 anzi‚ lo rese forte

a dismisura

del loro dolce amor

avevano cura.

 

Un solo muro

 c’era

tra i due cuori‚

ma in alto avea

un buco

 senza pace:

attraversato

 da sospiri e baci.

 

Nelle le notti

 buie

 e senza luna‚

volavano d’amor

dolci novelle:

  speranze

e sogni del cuor‚

sotto le stelle.

 

Per quanti dì durò

quella tortura‚

lo sanno sol gli dei

dell’alto Olimpo

 

 Ed eros‚ che di bimbo

avea figura‚

tenea nascosta la luna

con gran cura.

 

Venere sorrideva

a quell’amore‚

rimpiangendo

 i baci del suo Adone‚

ed Eco‚ lontana‚

il bel viso

cercava‚ lì tra i monti‚

del suo Narciso.

 

Suonava Orfeo‚

sognando Euridìce‚

ed il suo pianto

 giungeva  fino all’Ade.

Risuonavano le rive

Dell’Acheronte‚

Chinò lo sguardo

Il demone Caronte.

 

Allora Sonno

Calò

 giù dall’Olimpo

recando pace

pur

 sull’onda bruna‚

riaccendendo

 la luce della luna.

 

E tacque Amor

In grembo ad Afrodite‚

Il cipriota

Si trinse a Galatea.

S’addormentò Natura‚

Luna splendea

  accendedo i lumi

della notte.

 

Tisbe si congedò

Lanciando un bacio

E la promessa di fuggir lontano

Per vivere l’amor

col suo Piramo.

Decisero il luogo dell’incontro

e corsero a dormir

col cuor giocondo.

 

(Epilogo)

 

Il sole accese

le luci del mattino‚

e il verde pitturava le colline‚

popolate di pastori e d’animali.

Ruscelli lieti e un’aria sopraffina

preparavano un giorno eccezionale:

 di correre all’amore

era fatale.

 

 E Tisbe corse

col cuore che batteva;

correva tra le selve e la radura

 il suo Piramo certamente l’attendeva‚

respingeva nel cuore la paura

Di non trovarlo lì‚tutto fremente‚

 e aver sognato invano‚

nella mente.

 

Li presso il gelso‚

Luogo d’appuntamento

beveva leonessa ad una fonte‚

scappò ‚ la timorosa‚e perse il velo

che quella fiera dilaniò coi denti.

Quando Piramo vide quel tessuto

Pensò che Tisbe

 la morte avesse avuto.

 

Angoscia nel suo cuor‚

 misto ad dolore‚

non volle sopravvivere

 al suo amore.

Prese la spada

e spinse fermamente

fin dentro al cuore ‚

che  soffriva veramente.

 

 Il freddo ferro

entrò dentro la carne‚

a lato dove i panni  erano mossi;

prese la vita  al giovane Piramo

i gelsi da quel giorno furono rossi.

Il sole risplendea sulle colline

La morte s’aggirava

Tra le rovine.

 

 

 E Tisbe ritornò sui passi suoi

Dove pensava d’incontrar l’amante.

Quando lo scorse ella si dannò

Prese il suo capo e in grembo l’adagiò;

ei ne baciava le fattezze amate

la bocca troppo a lungo vagheggiata‚

ne respirava l’alito morente

sentiva la sua fine‚ era imminente.

 

Quando

gli chiuse gli occhi

Gridò il suo nome‚

Mentre affondava in petto

il suo pugnale‚

Piramo sul suo grembo

Già dormiva

In bocca il sangue si mischiò col sale.

 

Il sole

Nel cielo si fermò

D’intorno

 non vi furon più canti‚

Giove

sull’olimpo si crucciò

Gli dei si rattristàro

tutti quanti.

 

Franco Pastore
( da “ AMORE E MITO)

 

 

 

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